“Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello, regia di Luca De Fusco. Con Anita Bartolucci ed Eros Pagni. Al teatro Argentina di Roma

Così è se vi pare Eros Pagni

Così non è e se lo fosse non lo sarebbe

Luigi Pirandello è un nome di chiamata, come dicono gli impresari, richiama il pubblico anche se il dramma in locandina, Così è (se vi pare), emana un odore di cassapanca in cui giacciono impilati copioni teatrali dattiloscritti con vecchie macchine Remington.
La pirandellata è in scena all’Argentina di Roma, con regia di Luca De Fusco che dirige una bravissima Anita Bartolucci a fare la signora Frola ed Eros Pagni, il quale qualsiasi battuta dica suona perfetta. Gli altri nove attori sembrano capitati lì per caso, in particolare Giacinto Palmarini non perché reciti male ma perché non interpreta. Il suo signor Ponza, ruolo fondamentale, potrebbe chiamarsi in qualsiasi modo, Silvio Gelli (Come prima, meglio di prima), oppure Martino Lori (Tutto per bene), Romeo Daddi (Non si sa come) o anche Torvald Helmer (Casa di bambola, di Ibsen stavolta). Dov’è andato il signor Ponza di Palmarini?
Evidentemente si è nascosto nel palchetto del teatro che Marta Crisolini Malatesta ha riprodotto sul palcoscenico dell’Argentina. Il lavoro della scenografa è impeccabile ma perché il regista le ha chiesto un teatro nel teatro, visto che questo dramma non è I sei personaggi in cerca d’autore? La didascalia del primo atto del dramma recita: “Salotto in casa del Consigliere Agazzi”. Per conoscere le ragioni della scelta non bisogna rivolgersi allo spettacolo ma alla nota di presentazione (come è necessario quando la messinscena non spiega se stessa): pare che il pubblico stia osservando “uno spazio angusto e oppressivo che potrebbe essere il cortile di un manicomio o un insieme di palchi teatrali”. Che il teatro sia un posto di pazzi è cosa nota, che il manicomio alberghi teatranti è un’informazione suscettibile di approfondimento. Per il resto, “lo spazio angusto e oppressivo” è l’ampia superficie che Crisolini Malatesta lascia sgombra salvo alcune poltroncine per gli attori, quasi tutte a destra di chi guarda e una a sinistra riservata a Pagni che il regista sistema lì, separato dal resto della compagnia per tutta la rappresentazione, di modo da distinguerlo dai colleghi e omaggiarlo della sua statura di fuoriclasse. Un artificio.
Il dramma di Pirandello racconta proprio una storia di pazzi, da salotto però. Una suocera, la signora Frola, e un genero, il signor Ponza, si accusano reciprocamente di follia. Lei lo incolpa di impedirle di vedere la figlia Lina, maritata con lui, perché esageratamente possessivo. Il genero invece taccia la suocera di essere divenuta pazza dopo la morte prematura di Lina e di credere che Giulia, la sua nuova moglie, sia in realtà Lina ancora viva. Le spiegazioni dell’una e dell’altro avvengono davanti al prefetto, al commissario e a varie altre persone del paese di provincia in cui è ambientato il dramma, riunite a casa del consigliere Agazzi che è il superiore di Ponza. Per le confessioni monologanti della signora Frola e di Ponza, De Fusco manda i due interpreti a recitare dietro un microfono. Forse perché Bartolucci e Palmarini hanno poca voce? No, poi si scopre che in petto celano un buon diaframma. Gli artifici sono alle idee come le scarpe ai calzini, ne coprono i buchi.
Per il significato del dramma non c’è bisogno di rivolgersi a grandi esegeti come Giovanni Macchia, basta Wikipedia: “L’opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello: l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione – che può non coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell’esteriorità, un’impossibilità di conoscere la verità assoluta”. Ora, questa filosofia da tascabile in edicola può uscire dal suo status entomologico e assurgere a un valore teatrale se si fa descrittiva del cunicolare mondo piccolo-borghese di provincia di cui l’autore è uno dei migliori cantori e rappresentanti. Ma De Fusco sembra prendere sul serio le elucubrazioni di Pirandello. Allora se l’essere umano è una monade chiusa nella propria interpretazione, incomunicabile al prossimo, del reale, addirittura se la sola realtà esistente è quella che ognuno si fabbrica da sé in sé e il mondo esterno non esiste, allora si può argomentare che lo spettacolo di De Fusco non è mai andato in scena. Nulla di nuovo: un conterraneo di Pirandello, Gorgia di Leontini ((circa 483 – circa 375 a. C.), nella sua opera Del non ente, ovvero della natura (andata perduta ma di cui ci restano le esposizioni di Sesto Empirico e dello Pseudo-Aristotele) ha sostenuto, in tre distinte argomentazioni, che nessuna cosa esiste, che se anche esistesse non si potrebbe conoscerla e che se putacaso la si conoscesse non si potrebbe comunicare tale conoscenza agli altri. Lo spettacolo di De Fusco intitolato Così è (se vi pare) non esiste, se esiste non è conoscibile, e se lo si conosce non lo si può comunicare quindi è inutile metterlo in scena perché nessuno lo capirebbe. I ragionamenti umani, quando portati fino in fondo, generalmente conducono o all’inferno o al nulla. Pirandello a differenza dell’uomo che applaudiva, Mussolini, non conduce all’inferno.
De Fusco è bravo perché si circonda di alcuni artisti e tecnici che conoscono il loro mestiere: oltre a Eros Pagni e Anita Bartolucci naturalmente, e alla scenografa e costumista Marta Crisolini Malatesta, il datore luci Gigi Saccomandi. Con loro, viene assai più facile a un regista organizzare una messinscena e fare in modo che dell’allestimento non si possa dire nulla. Però quando nel finale appare la Signora Ponza, interpretata da Irene Tetto, anche lei va al microfono e si mette senza ragione a dire la sua parte con la voce gutturale d’un fantasma da seduta spiritica. La seduta spiritica non sta qui ma ne Il fu Mattia Pascal: “Il tavolino scricchiolava, si moveva, parlava con picchi sodi o lievi; altri picchi s’udivano su le cartelle delle nostre seggiole e, or qua or là, su i mobili della camera, e raspamenti, strascichi e altri rumori…”
In scena anche (in ordine alfabetico): Domenico Bravo, Roberto Burgio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Plinio Milazzo, Lucia Rocco, Paolo Serra.

Marcantonio Lucidi,
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