“Elettrocardiodramma” di e con Leonardo Capuano. Al teatro Le Maschere di Roma

Elettrocardiodramma

Plurale singolare

Capita che un essere umano sia come un condominio: c’è una folla di persone che abitano là dentro e non per forza sono compatibili fra loro, senza che questa situazione assuma caratteristiche patologiche. Ogni condomino si fa i fatti suoi e siccome noi riteniamo l’individuo un singolo e non una pluralità, il monologo di Leonardo Capuano, da lui stesso interpretato al teatro Le Maschere di Roma, ci dice che questa è una visione erronea della condizione umana. In titolo è un gioco di parole indicativo, Elettrocardiodramma (inserito in una rassegna di drammaturgia contemporanea, Le voci del presente). Se poi l’attore spinge, senza neanche troppo esagerare sul grottesco, l’idea diventa teatro comico e surreale, ragion per cui lo spettacolo va in giro da almeno una decina d’anni.
Per facilitare la scrittura del monologo e la sua comprensione, il condominio interiore diventa una famiglia composta dalla madre del narratore, dalla ragazza di cui è innamorato e dai quattro fratelli, abitanti (viene da dire) del corpo in scena. Questo corpo, che di per sé è agitato da tic – la balbuzie, il movimento incontrollato di una gamba – prende di volta in volta le caratteristiche dell’uno o dell’altro personaggio. O forse si potrebbe dire il contrario, ossia che ognuno di questi personaggi assume il controllo del corpo di Capuano. Le cose cambiano? Apparentemente no ed invece nel primo caso l’attore sarebbe incubo, nel secondo succubo; oppure nel primo marionettista, nel secondo marionetta. Naturalmente è più spettacolare la marionetta, quindi lo spettacolo è il dramma comico d’una possessione. Questo forse è il motivo per cui Capuano sta in scena con un vestito da donna, non perché lavora en travesti – infatti calza un paio di scarpe maschili e degli spaventosi calzini corti – ma perché è il femminile (la madre e l’amata) il motore della storia.
Siccome tutta la situazione, così com’è costruita, regge, l’attore può fare e dire cose surreali senza perdere consequenzialità: “Io vivo sulla luna. E come si vive sulla luna?”. Gira attorno a un tavolo rincorrendo la sua ragazza e le dice: “Come ti poni davanti all’infinito? Che numero di scarpe porti?”. C’è una battuta che spiega da quale sotterranea corrente fluisce lo spettacolo: “Vorrei un medicinale in grado di ristabilire un equilibrio, magari non tutti i giorni. Un equilibrio smarrito chissà dove”. Arrivati a questo punto qualunque cosa è ammessa dallo spettatore: parlare di windsurf nelle cascate del Niagara, spiegare che il medium della seduta spiritica è un tizio non alto e non basso, sostenere che in una storia di gente che dovrebbe spararsi bisognerebbe fare due anni di tirocinio o di tiro al cigno. Conta il modo di dire le battute e il contesto nel quale cadono. Questa è la bravura di Capuano. Il resto è tecnica ed elettrocardiodramma.

Marcantonio Lucidi,
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