“La casa di Bernarda Alba” di Federico Garcia Lorca, regia di Giuseppe Venetucci, con Dorotea Aslanidis, Maria Cristina Maccà ed Evelina Nazzari. Al Belli di Roma

La casa di Bernarda Alba

Fermo immagine d’un gineceo

La casa di Bernarda Alba è l’ultima opera scritta da Federico Garcia Lorca prima di essere ammazzato dai franchisti nel 1936. La caratteristica principale di questi tre atti è la presenza di personaggi tutti femminili, dieci donne di varia età, dai venti agli ottant’anni. Ragion per cui succede che nelle scuole di teatro, dove spesso avviene che le ragazze siano la maggioranza e a volte la totalità degli allievi, si metta in scena come extrema ratio per i saggi di fine anno La casa di Bernarda Alba. Peraltro è un testo adatto assai all’addestramento delle attrici perché i caratteri sono complessi, articolati, passionali, molto ben definiti dall’autore, ma non presentano gravi difficoltà interpretative, non sono figure femminili ibseniane o cechoviane.
La messa in scena diretta al teatro Belli di Roma da Giuseppe Venetucci propone un adattamento dello stesso regista che riduce i personaggi principali da dieci a otto (nell’originale figurerebbero anche una mendicante, una ragazza, quattro donne e altre vestite a lutto) . Però l’intervento sulla drammaturgia non risolve il problema, ossia che i palcoscenici non vanno tutti bene per qualsiasi testo. Il Belli è un bel teatro, piccolo e gradevole, dove però i tre atti di Garcia Lorca stanno stretti. Esistono dei rapporti fra drammaturgia e spazio scenico che sconsigliano di fare un Amleto integrale in un sottoscala del Fringe Festival di Edimburgo e parimenti renderebbero ardito un allestimento del beckettiano Dondolo al teatro greco di Siracusa. Poi tutto si può fare, conta solo il risultato. E il risultato qui è un vecchio trucco: quando i personaggi dovrebbero uscire, restano in scena e prendono posto su delle sedie, fermi e in ombra. In ombra per quanto è possibile perché siccome lo spazio è ridotto – palcoscenico di otto metri per una profondità di appena quattro e mezzo con la graticcia a meno di sette metri – le luci “bagnano”, come si dice in gergo, gli attori fuori azione. A volte poi avvengono cambi di luce senza nessun rapporto con quanto avviene sul palcoscenico.
Le sedie vieppiù inzeppano l’ambiente e limitano i movimenti delle attrici che paiono stipate come in un autobus per San Pietro nel giorno di udienza papale e che forse risentono negativamente della situazione logistica. Producono una recitazione monocorde per interpretare un dramma che è tutto un fuoco femminile, un intrico di sentimenti, emozioni, rancori, odio, invidia, frustrazioni, febbri d’amore, sensualità repressa. Alla morte del marito, la sessantenne Bernarda Alba, despota terribile, feroce nel suo moralismo intransigente, impone un lutto strettissimo alla madre ottantenne Maria Josefa e alle cinque figlie, di ognuna delle quali il copione indica con precisione l’età: Angustia trentanove anni, Maddalena trenta, Amelia ventisette, Martirio ventiquattro e Adele venti. Tutte chiuse in casa le ragazze, vietato qualsiasi incontro con l’altro sesso, proibito persino sostare davanti alle finestre. La primogenita è l’unica che ha dall’inflessibile e intollerante genitrice il permesso di sposarsi con “Pepe il Romano”, un giovane del paese il quale, non interessato alla sposa ma alla dote, ha una relazione con la cadetta e ribelle Adele. Quando una delle sorelle rivela la tresca, nel gineceo si scatena un inferno che conduce alla tragedia finale. È una storia di violenza muliebre meridionale e cattolica, qui allestita come una riunione di familiari nervosetti privi di dimensione tragica e anche della sussiegosa freddezza gravida di brutalità contenuta che caratterizza certe famiglie sudiste di alto lignaggio o di disumana moralità. Bernarda Alba è interpretata da Dorotea Aslanidis che restituisce la rigidità del personaggio con la rigidità interpretativa. Il ruolo di Angustias è affidato a Evelina Nazzari con la convinzione che le quarantenni di oggi non somigliano a quelle degli anni Trenta. Comunque è assai più facile, come ogni artista di teatro sa, invecchiarsi, quindi Maria Cristina Maccà interpreta l’anziana e istupidita ottantenne con tecnica mimetica ma si spinge, evidentemente su indicazione del regista, fino al macchiettistico come se recitasse in una scenetta di varietà e non in un dramma di Garcia Lorca. Le altre figlie sono interpretate da Ludovica Alvazzi Del Frate (Maddalena), Giulia Guastella (Amelia), Valentina Marziali (Martirio) e Francesca Buttarazzi (Adele), le quali recitano tutte più o meno allo stesso modo, con un tono sempre un po’ tristanzuolo, pur essendo i rispettivi caratteri assai diversi. A Fare la domestica (La Poncia) Nunzia Greco, ultima in locandina ma prima in interpretazione. Nel copione originale, il poeta, ossia Garcia Lorca, avverte che questi tre atti vogliono essere un documentario fotografico: è probabile che non intendesse uno spettacolo fermo.

Marcantonio Lucidi,
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