Al Quirino la manifestazione nazionale promossa dal Comitato a difesa dello spettacolo dal vivo

giuliocesare9

Bruto non è un uomo d’onore

e vuole assassinare il teatro

Lunedì scorso al teatro Quirino si è svolta una manifestazione nazionale promossa dal “Comitato a difesa dello spettacolo dal vivo” per protestare contro il famigerato decreto ministeriale del 1° luglio 2014 che ha riorganizzato i criteri di assegnazione dei soldi Fus (Fondo unico per lo spettacolo) e ha decimato le compagnie teatrali e le attività musicali. Tuttavia, ha detto il direttore artistico del Quirino Geppy Gleijeses alla platea di artisti ed operatori del teatro e della musica, “questa non è una riunione contro il ministro dei Beni culturali Franceschini, non è uno sfogatoio, non un cahier de doléances”. E che cos’è? “Serve a confrontarsi su emendamenti e proposte”.
In verità, di emendamenti e proposte non se ne sono sentite molte durante la ventina di interventi che hanno occupato la mattinata. Uno dei problemi centrali che affliggono il mondo dello spettacolo dal vivo è stato comunque più volte affrontato: la sua disgraziata mancanza di unità di fronte alle decisioni della politica e dell’amministrazione statale e parastatale. Edoardo Siravo, che auspica l’occupazione del ministero, ha ricordato che quando nel 2010 l’Inps inglobò l’Enpals (la previdenza dei lavoratori dello spettacolo) che aveva circa tre miliardi di attivo necessari a ridurre il debito dell’Inpdap (la previdenza dei pubblici amministratori, anch’essa accorpata, in deficit anche perché lo Stato non aveva versato i contributi), si sentì dire da chi si occupava della questione che “tanto questi non protestano mai”. “Questi” sono i lavoratori dello spettacolo. E difatti praticamente non fiatarono. Gleijeses nel suo intervento iniziale ha però difeso il decreto ministeriale perché “era necessario fare pulizia: aziende che non esistevano più continuavano a percepire contributi. L’ex direttore generale dello spettacolo Salvatore Nastasi ha operato bene ma sia lui che il suo successore Ninni Cutaia sanno che si sono cose da cambiare. La situazione è drammatica, ci sono imprese che chiudono. Però la ratio è inoppugnabile, serve un ricambio generazionale e una ridistribuzione equa delle risorse”.
Sul ricambio generazionale, Elena Cotta, un’artista di grande esperienza del teatro italiano che nel 2013 a Venezia ha vinto la coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, ha replicato che la formula “ricambio generazionale” le provoca una grande tristezza. Quanto alla ridistribuzione equa delle risorse, lo stesso padrone di casa si fa delle domande a proposito dei punteggi qualità assegnati dalla commissione consultiva prosa del ministero: “È possibile che in un punteggio da 1 a 4 assegnato alla direzione artistica, Giorgio Albertazzi valga 2 punti e Glauco Mauri o Nicola Piovani o Serena Sinigaglia, figure stimatissime, per carità, punti 4? È possibile che Tato Russo, che ha diretto per più di un decennio il secondo stabile privato più sovvenzionato d’Italia, alla guida della sua compagnia valga 1 punto su 4? Che Nuovo Teatro s.r.l. con Stefano Accorsi e Marco Baliani in un adattamento del “Decamerone”, Sergio Rubini e Fabrizio Bentivoglio con “Dobbiamo parlare” e Giuseppe Fiorello con “Penso che un sogno così”, prenda 2 punti su 7 come qualità artistica e 0,5 su 4 come innovatività dei progetti? Che Bis Tremila che produce “The Dubliners”, spettacolo di culto a capitoli multipremiato, diretto da Giancarlo Sepe con 25 attori, da vari anni al Festival di Spoleto, valga 1 punto su 4 sull’innovatività dei progetti e sostegno al rischio culturale?” La lista è parziale ma comunque lunga e Gleijeses prosegue: Possibile ancora che il Teatro Puccini con in cartellone Mario Perrotta, Giuseppe Cederna, Ascanio Celestini, Marco Paolini, Antonio Rezza, eccetera, valga 0 punti su 2 per innovatività dell’offerta e sostegno al rischio culturale? Che imprese sovvenzionate da 15 o vent’anni, ad esempio Trousse, Neraonda, Politecnico, La Plautina , Gruppo A.T.A. (con Elena Cotta, valutata 1 punto su 4), Compagnia Molière (con Lina Sastri, Ivana Monti, Giuseppe Pambieri), 2000 International (Massimo Ranieri), Tre Tredici Trentatré (Gigi Proietti), Doppia Effe (Mariano Rigillo), Fenice (Giancarlo Zanetti), Il Carro dell’Orsa (Edoardo Siravo), Progetto U.R.T. (che rappresenta l’Italia ai Festival internazionali), Remondi e Caporossi e tante, tante altre le quali, in base a una legittima aspettativa quei soldi li hanno già spesi, vengano bocciate per “indegnità” (sic) con 9 punti di qualità su 30 (il minimo è 10) ed escluse anche dal paracadute del 70% quale fondo di garanzia parametrato al contributo del 2014? E vengono premiate Compagnie che non hanno traccia di sé in rete e prime istanze il cui oggetto sociale declinato, sempre in rete, è “Altre attività di supporto alle rappresentazioni artistiche?”.
Il meccanismo di selezione delle compagnie per l’accesso ai fondi Fus funziona con un algoritmo e con la determinazione della qualità da parte della commissione consultiva prosa del ministero. Tato Russo ha quindi chiesto di dimissionare i componenti della commissione mentre Pietro Longhi, presidente dell’Agis Lazio chiede che nel 2016 i soggetti esclusi siano riammessi ai fondi Fus e ha annunciato di aver sollecitato l’assessore alla cultura della regione Lazio Lidia Ravera a provvedere a quel 70 per cento del contributo 2014 in favore delle compagnie regionali.
In disaccordo con l’idea che la logica di base del decreto ministeriale sia da difendere è il regista Angelo Longoni: “Allora dobbiamo voler bene al ministero? Dobbiamo dire che Bruto è un uomo d’onore? È stata svuotata la cultura con una formuletta matematica, un algoritmo. Sono andato a guardare sul dizionario: l’algoritmo è il procedimento di risoluzione di un problema attraverso una sequenza perfetta di operazioni che conduce a un risultato preciso. Quindi la riduzione dei contributi, lo scioglimento di compagnie, la disoccupazione di artisti e maestranze, l’annullamento di attività programmate o il mancato riconoscimento di nuovi organismi sono effetti calcolati. Precisi. Cioè voluti”. L’algoritmo, secondo Longoni, “contiene in sé una definizione: il teatro è un mercato minore, da abbandonare progressivamente e non da sviluppare progettualmente”. La ragione? “Altrove si è disposti a investire ma non in quella forma di libertà di pensiero che è il teatro, non in quella piccola comunità che esprime contenuti difficilmente controllabili da funzionari e burocrati”.
L’algoritmo che gestisce la distribuzione dei denari sta nell’allegato D del decreto ministeriale. Ecco la formula: PTDQSt = [(V1 t x PDQ1MAX)/ V1 MAX] + [(V2t x PDQ2MAX)/ V2 MAX] +…+ [(Vnt x PDQnMAX)/ Vn MAX]. Questa invece è l’equazione di campo di Albert Einstein: Rµν – ½ gµνR = k Tµν.
Sul teatro come mercato minore, forse Longoni è ottimista. Domenica scorsa l’inserto cultura del Sole 24 Ore offriva in prima pagina un articolo intitolato “Cultura, si torna a investire”. Il sommario recitava: “Le proposte del nostro Manifesto di tre anni fa cominciano a dare frutti. Un’analisi dei fondi stanziati dal Governo. Manca ancora una visione d’insieme”. Al di là del cattivo gusto d’un giornale di autoincensarsi (chi si loda s’imbroda), c’è un passaggio che elenca le industrie culturali: “In primo luogo cinema, musica, radio-televisione e videogiochi “. E quelle creative: “Design e moda, progettazione architettonica, comunicazione e pubblicità”. Della parola “teatro” nell’articolo non v’è traccia.
Il fatto è che la prosa non ha nessuna autorevolezza nel dibattito generale sulla società italiana. Infatti il settore aspetta una legge quadro da vari decenni e l’attuale governo si è permesso di varare proditoriamente quella che si configura come una vera e propria riforma di sistema senza passare per il Parlamento ma con un decreto ministeriale che attraverso una drastica riformulazione dei criteri di finanziamento muta radicalmente il paesaggio. Sono già partiti a decine i ricorsi al Tar da parte delle imprese colpite. L’avvocato Marco Orlandi ha spiegato: “La discrezionalità amministrativa è degenerata in arbitrio. La commissione ha creato situazioni poco intelligibili. In alcuni casi la commissione si è riunita per telefono e ha espresso dei giudizi sull’ammissibilità o meno di soggetti al finanziamento. E a qualcuno che aveva chiesto al ministero l’accesso agli atti hanno risposto che erano stati persi. C’è da farsi delle domande sulla logicità e parità di trattamento nell’applicazione di un criterio matematico”. Però durante l’assemblea da più parti si sono formulare critiche aspre anche verso l’operato della commissione che avrebbe giudicato “per sentito dire”, senza andare a vedere i lavori delle compagnie, che avrebbe modificato i giudizi fra una votazione e l’altra, che avrebbe riammesso delle compagnie bocciate a seguito di integrazioni delle quali però non si riesce a sapere nulla. Un guazzabuglio. Il grado di considerazione che i poteri pubblici hanno nei confronti del mondo teatrale si riverbera ovviamente sulle persone. Il segretario nazionale della Uilcom ha fatto notare che “l’ultimo decreto legislativo sugli ammortizzatori sociali lascia fuori la gente di spettacolo. Bisogna ricominciare a fare politica di sistema”. Cioè farsi sentire collettivamente chiaro e forte.
Se il teatro piange, la musica non ride. Sono stati azzerati i fondi per il mondo corale italiano e Patrizia Chiti, presidente della fondazione “Donne in musica” parla di gravissimo declino e di assoluto disinteresse delle istituzioni per la musica italiana contemporanea. Il governo sembra accanirsi con sistematicità sui più deboli ottenendo degli effetti di rara efficacia quando le fragilità sono multiple. Così il teatro nel Mezzogiorno è particolarmente colpito. Gianni Pinto dell’Artec (Associazione attività teatrale regionale campana dell’Agis), ricorda un po’ di cifre: “Appena il 20 per cento delle imprese riconosciute dal ministero è meridionale. Sui 19 nuovi Tric, i teatri di rilevante interesse culturale, solo quattro sono a sud, un solo Teatro nazionale su sette, cinque centri di produzione su 24”. C’è chi fa notare con malizia che invece le richieste di riconoscimento provenienti dalla Toscana sono state prontamente esaudite. Da Napoli, dove la prosa ha un’importanza ineguagliata nel resto d’Italia e che comunque s’è vista riconoscere il Mercadante come Teatro nazionale, s’è mosso il sindaco Luigi De Magistris che ad agosto ha mandato una lettera al ministro Franceschini: ”Devo, purtroppo, constatare che, ancora una volta, Napoli ha dovuto subire altri duri tagli e dolorose esclusioni”. E stila anche lui un catalogo della macelleria operata dal Mibact sulla vita teatrale della città.
Fra le proposte uscite dall’assemblea per rimediare almeno in parte al disastro: una web-tax che dreni risorse da destinate al made in Italy culturale; una riforma fiscale di settore che contempli anche il tax-credit; l’applicazione del paracadute del 70 per cento alle imprese bocciate, da riammettere inoltre alla valutazione nel 2016; la creazione di una seconda commissione formata da un rappresentante dell’Agis, degli autori, del ministero più un esperto del settore, da affiancare pariteticamente a quella attuale.
In chiusura Geppy Gleijeses ha ribadito la necessità di fare fronte comune e ha esortato le imprese che sono uscite dall’Agis, che poi sarebbe l’Associazione generale italiana dello spettacolo e come tale preposta alla rappresentanza e alla tutela della categoria, a rientrarvi “perché l’Agis aveva una forza che ora non ha più. Il problema non è politico, la politica se ne frega di noi, il problema è tecnico, giuridico, istituzionale”. Ma non tutti sono convinti. Lo scetticismo è sintetizzato dalla regista Adriana Martino: “L’Agis, che doveva difenderci, ha inizialmente approvato il decreto il quale è, aggiungo, anche il frutto delle nostre divisioni. Bisogna fare i conti con la rappresentanza dell’Agis”. Ma nell’assemblea, fuori dalle dichiarazioni pubbliche, si faceva anche un’altra considerazione: pochi giorni fa, Salvatore Nastasi ha lasciato il posto di direttore generale dello spettacolo dal vivo ed è subentrato Onofrio Cutaia, detto Ninni, ex direttore del Mercadante di Napoli, ex direttore generale dell’Ente teatrale Italiano soppresso nel 2010. Il timore è che l’avvicendamento cambi gli equilibri politici. Insomma, sotto la ghigliottina del decreto ministeriale del luglio 2014, che impone alle aziende teatrali piani triennali ma verifiche annuali, nessuno si sente al sicuro, neanche chi finora si è salvato.

Marcantonio Lucidi,
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