“Emilia”, scritto e diretto da Claudio Tolcachir, con Giulia Lazzarini. All’Argentina di Roma

Emilia

Da Buenos Aires un po’ di minuscolismo

Un bel gruppo di attori è in scena al teatro Argentina di Roma: Giulia Lazzarini nel ruolo del titolo, Emilia, magnifica interprete – naturale, pacata, densa – che recita con una sorta di understatement sostanzioso, ricco di dettagli, di sfumature; attorno a lei Sergio Romano, Pia Lanciotti, Josafat Vagni e Paolo Mazzarelli, tutti molto bravi, tecnici ma non freddi, precisi ma non automatici, sofisticati ma non stucchevoli.
Questo è un tipo di formazione che potrebbe fare quasi qualunque cosa, i moderni, gli antichi, la commedia goldoniana e il Teatro dell’Assurdo, i testi buoni e quelli scarsi, persino questo dramma proveniente dall’Argentina (il paese, non il teatro nel quale approda). Artisti della scena che sanno occultare i difetti di una regia come le banalità di un dialogo e sono capaci di trasformare i laghi larghi della noia che impaludano una drammaturgia del già visto, già fatto, già sentito in un piacere della recitazione, in uno stare in scena ben assisi su se stessi nell’attraversamento della piccola vicenda familiare qui raccontata, delle sue minuzie, di questo naturalismo a dimensione di minuscolismo. È qualità dei migliori attori la capacità di trasmutare il piombo in oro, innalzare una storiella da telenovela sudamericana a dramma e donare tragicità alla trovatina dell’epilogo, un femminicidio che definitivamente archivia il testo nel mélo-reality.
Emilia è stata la bambinaia di Walter. Dopo vent’anni, i due si ritrovano e lui la invita a casa: ci sono la moglie di Walter, Carolina, il figlio Leo che lei ha avuto dal precedente matrimonio e Gabriel, il padre. Sembrano tutti felici e contenti ma chi in sala sospettasse che l’armonia sia falsa e celi disgrazia, dispiacere e conflitto potrebbe usare il tempo dello spettacolo per pensare ai casi della famiglia sua, probabilmente più intriganti e complicati di quanto si racconta sul palco.
Non è da un solo autore che si può desumere la stagione che una scena teatrale sta attraversando in un determinato paese, in questo caso l’Argentina. Tuttavia se il Teatro di Roma ha voluto produrre lo spettacolo chiamando degli attori ottimi a interpretarlo, avrà avuto le sue buone ragioni e si vuol quindi credere sinceramente che questo testo rappresenti quanto di meglio si scriva e si allestisca dalle parti di Buenos Aires. Allora l’operazione in questione è di gran consolazione per la drammaturgia italiana che può vantarsi in molti casi di ben altre altezze, purtroppo non sempre riconosciute in patria. Sarebbe da provare a farle riconoscere in Argentina: a Buenos Aires esiste un teatro, il Coliseo, il secondo più importante della capitale (primo è il Colón), nonché l’unico di proprietà dello Stato italiano al di fuori del nostro paese. Si trova a Palazzo Italia, sede anche del nostro Istituto di cultura. Ultimamente la città di Buenos Aires ha finanziato il Coliseo con quasi quattro milioni di euro, nessun contributo dal nostro paese. Vi si programma soprattutto musica e danza. Magari si potrebbe chiedere di allestire lì un po’ di drammaturgia delle parti nostre, tanto per fare vedere che non è seconda a quella argentina. Forse ci voleva Emilia per vederci più chiaro, d’altronde l’animale legato a questo nome è la lince e la pianta il mirtillo che fa tanto bene agli occhi. Lo spettacolo è scritto e diretto dall’argentino Claudio Tolcachir.

Marcantonio Lucidi,
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