“Il mercante di Venezia” di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella, con Carlo Ragone e Sara Putignano

Mercante di Venezia (4)

L’ebreo della Belle Epoque

Apparentemente, nel Mercante di Venezia di William Shakespeare, che la regista Loredana Scaramella ha messo in scena al Globe di Roma, spira un’aria un po’ goliardica, da giovinastri di bar, da perdigiorno dI ippodromi o di bische. Perché per quanto sia un tema assai antico, questa storia di Shylock che esige una libbra di carne come pegno di un prestito di 3000 ducati garantito da Antonio in favore di Bassanio (al quale i denari servono per corteggiare degnamente Porzia) è grottesca. Così come burlesco è l’altro tema dominante della commedia: la prova degli scrigni, anche questo un motivo tradizionale della novellistica che girava ai tempi di Shakespeare. I pretendenti alla mano della bella Porzia devono scegliere fra uno scrigno d’oro (che contiene un teschio), un secondo d’argento (dove si trova la maschera di un idiota) e l’ultimo di piombo (nel quale è celato il ritratto della bella che apre la via al matrimonio).
Invece The merchant of Venice è un’opera complessa e sofisticata che si sottrae alle classificazioni tradizionali perché contiene un plot con annuncio tragico (la libbra di carne) e un subplot da commedia farsesca, con la quadriglia di innamorati, la servetta intrigante, il vecchio gabbato, gli inganni del travestimento. Il genio dell’autore sta, fra le altre cose, nella sua straordinaria bravura di far convergere plot e subplot in un punto inaspettato e nella costruzione di un falso protagonista, il mercante del titolo, quando quello vero è in effetti Porzia, che da sola pronuncia quasi un quarto delle battute del testo. Non v’è dubbio che il dramma sia stato scritto fra l’agosto del 1596 e la fine del 1597 (secondo i calcoli dei dotti) come parte di una campagna antisemita scatenata in Inghilterra nel 1594 con l’esecuzione dell’ebreo portoghese convertito Roderigo Lopez, medico personale della regina accusato di aver tentato di uccidere la sua illustre paziente. La campagna fu ripresa nel 1596 e con l’occasione venne rimesso in scena il truce dramma di Christopher Marlowe L’ebreo di Malta, che Shakespeare conosceva bene. Nel Mercante il crinale fra ciò si deve dire e quanto non bisogna osare è sottile perché vi si dimostra che molti cristiani prontissimi a condannare l’ebreo Shylock non sono certo migliori di lui.
Ora, non è detto che Loredana Scaramella abbia ragionato proprio in simili termini che sono poi a grandi linee quelli attorno a cui dissertava il grande anglista Giorgio Melchiori nel suo saggio Shakespeare. Tuttavia questo è quanto grosso modo esce dalla sua regia attraverso alcune scelte precise, una delle quali si manifesta fin dalla prima scena: i costumi secondo Ottocento degli uomini, i completi, i cappelli, i bastoni da passeggio, il cilindro che cela la kippah di uno Shylock abbigliato a mo’ d’un banchiere ebreo fin de siècle, rappresentano la potenza di una borghesia che già al tempo di Shakespeare, negli ultimi anni del regno di Elisabetta I, aveva incominciato a cambiare la società inglese. Postdatare di circa tre secoli il tempo dell’azione permette alla Scaramella di alleggerire il pesante antisemitismo del testo shakespeariano e di trasferirlo sul piano più leggero di una commedia da boulevard. Ecco perché Porzia, e questa è un’altra scelta coerente della regia, fa figura di un’attrice da vaudeville, e si cambia e si ricambia d’abito come aveva da fare un’artista di palcoscenico brillante della Belle Epoque. Centrando in questo modo il personaggio, ossia dandogli forza icastica, Porzia torna ad essere la vera protagonista del Mercante. E sottrae a Shylock una responsabilità che non ha, ma spesso gli viene attribuita, d’essere la chiave del dramma. Quindi, procedendo su questa linea, diventa ovvio che, per esempio, i discorsi davanti agli scrigni – qui delle sorta di grosse uova calate dall’alto – dei principi di Marocco e di Aragona pretendenti alla mano di Porzia, non sono più esattamente i modelli di arte oratoria dell’originale, ma vengono interpretativamente riconvertiti a siparietti comici da avanspettacolo. Se si gioca, e se si invita gli attori a giocare, i risultati sulla scena possono divenire esilaranti e togliere al Mercante quella patina “noire” che non merita. Chiaramente, in un caso simile, l’interprete di Porzia, che adesso deve tirarsi dietro gran parte dello spettacolo, necessita d’essere in gran forma (e d’aver voglia di divertirsi): Sara Putignano dona al personaggio la gioiosa malizia ch’è quasi d’una allegra cocotte e la brillantezza d’una muliebre perfidia, perfino la leggerezza vagamente pesante d’una maliarda che respinge gli uomini con occhio clinico e derisorio. Shylock è Carlo Ragone che sa di non essere più il sole buio della commedia ma un pianeta a cui verranno strappati gli anelli (i soldi) e dona al personaggio un’aria un po’ saturnina, malinconico torsolo di mela mangiata, spalla disperata di un varietà che alla fine dello spettacolo andrà a prendere il tram per tornarsene a casa. Bassanio è ovviamente un bello che Mauro Santopietro gira in carattere di perdigiorno, un gagà che per la conquista di Porzia si ritrova in un gioco più pericoloso di quello che è in grado di sostenere. E c’è l’Antonio di Fausto Cabra che sarebbe il tipo del capitalista etico su cui si dovrebbe basare il tempo nuovo del mercantilismo borghese e che perde la sua fortuna – ma finisce per recuperarla in quanto si sta in una commedia – perché a tentare di unire il denaro e la morale si rischia la disgrazia. Che ci vuol fare, signora mia, a essere brave persone ci si rimette e non resta che affidarsi alle femmine per salvare una libbra. Tutta la compagnia gira bene, anche perché in questo spettacolo le cose sono chiare e nulla di meglio v’è per un attore che sapere da dove partire e dove finire, Shylock sotto a un tram e tutti gli altri sull’aereo di una vita da cristiani. Oltre ai già citati, sono in ordine alfabetico: Mimosa Campironi (Jessica), Diego Facciotti (Lorenzo, il principe di Aragona), Paolo Giangrasso (Baldassarre, il principe del Marocco), Roberto Mantovani (il Doge di Venezia e Tubal), Fabio Mascagni (Solanio), Ivan Olivieri (Salerio), Loredana Piedimonte (Nerissa), Antonio Sapio (Stefano), Antonio Tintis (Graziano) e Federico Tolardo (Lancillotto).

Marcantonio Lucidi,
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