“Corrispondenze” di Roberto Aldorasi e Manuela Correros, con Claire-Lise Daucher e Anne Palomeres. Al teatro India di Roma

Corrispondenze

Due vite, nessuna svolta

Per la rassegna “I teatri del sacro” all’India di Roma, è andato in scena uno spettacolo esile e un po’ triste come una messa vespertina in un giorno di pioggia. Corrispondenze è uno scambio di epistole che due attrici recitano: Claire-Lise Daucher interpreta una donna professionalmente affermata che gira il mondo, va a letto con uomini vari, rimane incinta; Anne Palomeres invece fa la sorella che ha scelto la vita di clausura in un convento.
Il punto è questo: non è detto che la vita monastica sia meno interessante di quella mondana, il che è scontato se appena appena si è sentito parlare di avventure dello spirito. Per dare corpo e sangue all’ostia teatralmente sconsacrata di un’ovvietà, sarebbe stato utile montare un qualche dramma, un conflitto, una tensione, per agitare un po’ questi cinquanta minuti di monologhi alternati che sono delle letture memorizzate di lettere scambiate dalle due sorelle. Ma il regista Roberto Aldorasi – anche autore assieme a Manuela Correros – sceglie di puntare tutto lo spettacolo su atmosfere lievi, così evanescenti che anche le voci delle due interpreti arrivano alquanto confuse, complici il loro forte accento francese e la cattiva acustica della sala B dell’India. Un po’ più di voce, un po’ più di sforzo sul diaframma sarebbero tornati utili ma Daucher e Palomeres sono evidentemente prima di tutto delle danzatrici e infatti si impegnano in intermezzi tersicorei che dovrebbero dare conto della sostanziale corrispondenza e della sintonia – esistenziali? filosofiche? sentimentali? – che corrono fra le protagoniste. Insomma, le vite sono tutte diverse e tutte uguali come i volti degli esseri umani, unici seppur costituiti degli stessi elementi, occhi, naso, bocca. Il buon dio offre a ciascuna creatura un percorso irripetibile ma l’infinita varietà delle esperienze si fonda sempre sugli stessi principi. Proposizione sulla quale si può essere d’accordo però il teatro, almeno in occidente, ha inventato uno schema profano in cui questi principi confliggono per tenere desta l’attenzione degli spettatori, i quali si interessano non agli occhi ma agli sguardi, non alle bocche ma alle parole.

Marcantonio Lucidi,
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