“Some girl(s)” di Neil LaBute, regia di Marcello Cotugno, con Gabriele Russo, Laura Graziosi, Bianca Nappi, Roberta Spagnuolo e Martina Galletta

SOME GIRL(S)@michelapalermo - Gabriele Russo Roberta Spagnuolo MEDIA

Quattro ragazze e un torello

Con il suo Some girl(s), in scena al Piccolo Eliseo, l’americano Neil LaBute arriva a una constatazione del tutto nuova: che le ragazze sono misteriose, complicate, imprevedibili, che insomma “La donna è mobile / Qual piuma al vento, / Muta d’accento – e di pensiero”.
Per rendersene conto, prima di sposarsi il protagonista della pièce, Guy, che di mestiere fa lo scrittore – ma perché tanti scrittori nelle commedie americane? Sarà che anche negli Stati Uniti, come in Italia, la gente legge poco ma scrive in quantità – compie un giretto di città in città per incontrare le sue ex fidanzate. Ora, siccome in genere le coppie magari si sposano per allegria ma non si separano per lo stesso motivo, le ragazze non accolgono Guy felici e giubilanti come farebbero con chi regalasse loro il biglietto vincente della lotteria nazionale o almeno un amore da elettricista, così almeno un po’ di luce si farà. Ma lui vuole sistemare, come dice, “il casino che ha combinato nella sua vita sentimentale lungo la strada verso la maturità”. Strada lunga, al protagonista servirebbero una dozzina di commedie per vederne la fine. Guy, che per quanto scrittore sia non deve essere un faro luminoso dell’intelligenza umana, si stupisce delle reazioni ostili delle fanciulle e cerca di spiegarsi e prova a giustificarsi e costringe l’autore – i personaggi possono essere molto autoritari nei confronti dei loro inventori – a intrugliare il testo di quella rancida salsetta psicanalitica che si trova sulle riviste più lette nei peggiori parrucchieri di Voghera. Esiste lo psicotico ma esiste anche la psicoide, la mania di attribuire al labirintico inconscio la cortese richiesta di andare al diavolo.
Questo testo è un bell’esempio della peste naturalista che proviene da oltre Atlantico. Il grande riformatore del teatro italiano, Carlo Goldoni, scriveva nella prefazione alla sua prima raccolta di commedie (Venezia, 1750): “Quanto si rappresenta sul teatro non dev’essere se non la copia di quanto accade nel mondo”. Quindi Goldoni realista? In uno splendido passaggio della sua Storia del teatro drammatico, Silvio D’amico spiega cos’è questo realismo: “Ma dalle smanie del cavaliere di Ripafratta e dal girotondo del Ventaglio, dagli indicibili ricami del Campiello e dai parapiglia della Bottega del caffè, dalle mirabolanti millanterie del Bugiardo e dalle incredibili vicende del Servo dei due padroni, nonché in genere da tanti melodiosi battibecchi, serenate, duelli, dialoghi fra un terrazzino e una finestra, inchini in salotto e rissa in strada, pare a noi che il lettore o spettatore si senta, piuttosto, allettato e introdotto in un mondo notevolmente diverso dal vero. Un mondo tutto leggiadramente spostato di tono; in uno stile che ha del bizzarro e, a momenti, del magico”. E così D’amico, in una frase aforistica, sintetizza Goldoni: “Egli non ha mosso dunque, dalla vita al Teatro; ma dal Teatro alla vita”.
C’è poi nella commedia questa fantasia banalmente maschilista, anzi maschiloide, di fare il giro delle ragazze con cui si è andati a letto perché, anche a prendere gli insulti, si tratta pur sempre di verificare se la mucca ha conservato sulla pelle il marchio virile dell’indimenticabile torello. Si spera quindi che la commedia non sia autobiografica. Forse il mestiere degli attori in scena potrebbe essere meglio valorizzato in commedie meno ridicole e più ridicolose: sono Gabriele Russo che fa Guy; Laura Graziosi, Bianca Nappi, Roberta Spagnuolo e Martina Galletta che interpretano le ragazze, vien da dire le mucche ribelli. Regia di Marcello Cotugno.

Marcantonio Lucidi,
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