“The Rocky Horror Show” di Richard O’Brien, regia di Christopher Luscombe. Con Stephen Web. Haley Flaherty, James Bisp, Ryan Carter-Wilson e Laura Bird. Al Brancaccio di Roma
I veri travestiti non sono i travestiti
Quando un’astronave proveniente dal pianeta Transexual nella galassia di Transylvania atterrerà di nuovo sulla Terra, gli alieni troveranno un mondo abitato da strani esseri reazionari che censurano Romeo e Giulietta di Shakespeare per eccesso di sesso, guardano video porno sui telefonini e regolarizzano mediante il matrimonio anche gli amori omosessuali invece di scappare con i marinai. Un signore che tutti credevano morto scenderà dalla scaletta del vascello spaziale, coperto solo da mutandine nere, corsetto nero, calze e reggicalze nere, scarpe a tacchi alte nere, e si metterà a cantare Sweet Transvestite. Finalmente la libertà, finalmente don’t dream it, be it, non sognarlo, sii quello che vuoi.
La “prima” al teatro Brancaccio del Rocky Horror Show di Richard O’Brien, diretto da Christopher Luscombe, edizione inglese, era invasa da giovani. Loro sanno bene che di questi tempi, oltre mezzo secolo dopo il debutto nel 1973 al Theatre Upstairs del Royal Court di Londra davanti a sessantatré spettatori, “it’s not easy having a good time… Even smiling makes my face ache”, “non è facile divertirsi… Anche sorridere mi fa male al viso”, come dice lo scienziato pazzo travestito bisessuale Dr. Frank-N-Furter interpretato da Stephen Web. Haley Flaherty e James Bisp sono rispettivamente Janet e Brad, Ryan Carter-Wilson è Riff Raff e Laura Bird sua sorella Magenta. In platea si sono seduti pure alcuni che conoscono le battute a memoria – saranno vecchi soldati del proibito proibire – e rispondono come nei cinema di Londra, di Parigi e di altre capitali dove proiettano la versione cinematografica del ‘75, The Rocky Horror Picture Show di Jim Sharman.
Al Cinéma Studio Galande Béruchet, al 42 della rue Galande, una stradina dietro la Sorbona, danno il film da quarantacinque anni ogni venerdì e sabato alle nove di sera, unico caso al mondo. Fatto veramente singolare che quella banda di sciovinisti che sono i francesi abbia ricevuto un colpo d’amour fou per un’opera anglosassone. C’è da andare sia al Brancaccio per il musical che al Galande per il film, che se uno non ha visto almeno due volte lo spettacolo teatrale e altre due la pellicola, non può dire di essere un buon cristiano del Novecento e di avere capito cos’è, davanti a quella formidabile orgia di transessualità, multisessualità, controcultura pop e glam rock, la vera trasgressione per un uomo e una donna: andare a letto insieme, soltanto loro due sotto o sopra le lenzuola, a fare l’amore allo stesso ritmo di Serge Gainsbourg e Jane Birkin che sul giradischi cantano Je t’aime… moi non plus: “Oh mon amour / Tu es la vague, moi l’île nue / Tu vas et tu viens / Entre mes reins / Tu vas et tu viens”. “Oh amor mio / Tu sei l’onda, io l’isola nuda / Vai e vieni / Fra le mie reni / Vai e vieni”.
A Parigi, in platea i fan del Rocky che passano in bagno a mettersi i tacchi a spillo, gli slip neri e i boa di struzzo, hanno visto cento, anche centocinquanta volte Tim Rice, Susan Sarandon e Meat Loaf e buttano manciate di riso alla scena del matrimonio oppure svuotano bottigliette d’acqua in testa agli altri spettatori quando sullo schermo piove. Il rito bisettimanale prevede che all’ingresso della sala, ai neofiti venga disegnata sulla fronte col rossetto rosso la V di virgin. Sulla facciata del palazzo, sopra la locandina del Rocky, un bassorilievo trecentesco rappresenta San Giuliano l’Ospitaliere che con la sua barca traghetta Gesù sull’altra sponda del fiume. Quando la voluttuosa bocca rossa appare sulla tela e intona la prima canzone Science Fiction/Double Feature una mano esperta ne lava i denti con una scopa. I sessantenni portano i nipoti e insegnano loro battute e controbattute d’una specie di copione di sala di cinquantotto pagine in inglese che si può comprare in libreria, mentre la versione francese circola di mano in mano e cambia con i tempi e la politica. Durante l’orgetta si sente l’urlo “Gérard Depardieu!” e all’apparizione di Rocky, la creatura costruita da Frank-N-Furter con un corpo da body-builder e nella testa mezzo cervello senza un grammo d’intelligenza, l’annuncio a tutta voce è stata fino a un anno fa “Gabriel Attal!”, l’ex primo ministro di Macron.
Si canta, si balla, festa pagana irriverente, il Rocky burlesco, gotico, horror, ride di tutto, del potere, della morte, della violenza e dell’incesto, degli handicappati in sedia a rotelle e pure dei transessuali. Infatti nella comunità lgbtqia+ non tutti apprezzano (almeno in Francia). C’è chi vede nel musical una forza trasgressiva e gaia ma ad altri danno fastidio gli eterosessuali che si divertono e addirittura si travestono da transessuali per vivere un brivido passeggero. Per giunta l’eroe dell’assurda storia, Frank-N-Furter abbigliato da donna, è un pazzo manipolatore, uno stupratore, un omicida egocentrico che conferma stereotipi discriminatori. È vero, tutti in quest’opera sono discriminati, i buoni e i cattivi, gli eterosessuali, gli omosessuali, gli uomini e le donne, l’umanità intera che perde il suo tempo vedendo lo spettacolo “e strisciando sulla faccia del pianeta, insetti chiamati razza umana, persi nel tempo e persi nello spazio – e nel significato”, come dice il personaggio del criminologo nella sua ultima battuta.
Per questo bisogna andare a vedere The Rocky Horror Show, non solo perché la compagnia è magnifica, gli anglosassoni sanno fare i musical come sanno fare i mercanti, alla perfezione. Ma per ricordarsi che veri travestiti sono gli ipocriti.
