Il giardino dei ciliegi di Anton Cechov nella traduzione e adattamento di Claudio Boccaccini, anche regista, ed Eleonora Di Fortunato. All’Ambra Garbatella di Roma

anton_cechov_1

Il cortile della libertà

La filologia a teatro è l’arte di chi non ha arte. Perché l’artista è libero di seguire la propria ispirazione e di fare ciò che vuole. Poi magari se si tratta di opera nuova, è cosa auspicabile che il regista moderi i propri ghiribizzi e rispetti il testo del drammaturgo, non fosse che per dare l’opportunità al paziente pubblico di conoscere ed eventualmente apprezzare l’inedito. Se invece l’autore ha avuto la gentilezza di defungere, allora il metteur en scène può fare quello che vuole, tanto il morto non ha modo di protestare e se si rivolta nella tomba ne acquisirà in vitalità. Da qui discende l’aureo principio della regia, mestiere praticabile da pochi e praticato da molti: il teatro è vivo quando il drammaturgo è morto e il regista vegeto.
Claudio Boccaccini al teatro Ambra Garbatella ha allestito un adattamento da lui scritto assieme a Eleonora Di Fortunato de Il giardino dei ciliegi. Ed è partito dalla constatazione che Anton Cechov (nella foto) ritenesse di avere scritto una commedia brillante – fatto vero testimoniato da varie lettere dell’autore – ma che Stanislavskij, quel birichino che la mise in scena per la prima volta nel 1904, l’avesse trasformata in tragedia condizionando tutta la tradizione delle messe in scena cechoviane. Quindi Bocaccini ha deciso di restituire il dovuto al drammaturgo russo e ha messo le mani sue e della Di Fortunato nel testo, tagliando, aggiungendo, modificando. Insomma ha corretto il povero Cechov, il quale non aveva pensato a rimediare ad alcuni difettucci della sua pur pregevole commedia. Nella testa dei geni ci sono molte cose, purtroppo non quelle che stanno nella testa degli altri e questo è indubbiamente indice di manchevolezza. Ci si chiede: ma se il testo è già di per sé brillante, perché un regista che tale lo vuole si sente in dovere di modificarlo? È una domanda che sta nel regno della metafisica: Dio esiste? Cechov aveva difficoltà di scrittura? Moana Pozzi è veramente morta?
Insomma, la questione è complicata: a teatro se la filologia può diventare la pedanteria del nulla, la libertà rischia di essere il pressappochismo del tutto. Quanto allo spettacolo in sé (in scena Silvia Brogi, Antonio Conte, Andrea Lolli, Alessia Navarro e altri), date le premesse, non è successo niente di grave e si tratta di materia per filologi: s’è dato Il cortile dei ciliegi.

Marcantonio Lucidi,
Stampa Stampa

I commenti sono chiusi.