“Le bal” regia di Giancarlo Fares da un’idea di Jean-Claude Penchenat. Alla Sala Umberto di Roma

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Nella balera del Novecento

Ridono e piangono e s’emozionano e si squagliano nella nostalgia le anziane signore in platea a guardare tutta la loro vita passare sul palco della Sala Umberto di Roma, dalla seconda guerra mondiale alle Torri Gemelle: Le bal è una biografia musicale danzata che racconta la storia degli uomini nati e vissuti nel Ventesimo secolo, è un grande bagno collettivo di rimembranza costruito su un’idea di Jean Claude Penchenat che in Italia fu realizzata al cinema da Ettore Scola (Ballando, ballando), poi a teatro da Giancarlo Sepe e adesso da Giancarlo Fares con un gruppo di sedici giovani attori che non parlano ma narrano attraverso il ballo.
Né tempo passato né amori ritornano, scriveva Apollinaire nel Pont Mirabeau, e non è sempre vero perché i giorni se ne vanno ma noi vi restiamo dentro. Negli occhi delle attempate signore che guardano i ragazzi di Fares danzare nella balera del secondo Novecento, ritornano gli antichi fidanzati mentre le loro labbra si muovono sulle parole di Resta cu’ mme di Domenico Modugno. E dopo essersi squassate con voluttà sulle poltrone per Il tuo bacio è come un rock, avere ondeggiato la testa e le spalline dei tailleur da pomeridiana domenicale su Sapore di sale, sapore di mare, svengono di piacere e d’entusiasmo con Il mondo di Jimmy Fontana: “Gira, il mondo gira / Nello spazio senza fine / Con gli amori appena nati / Con gli amori già finiti / Con la gioia e col dolore / Della gente come me”. Della gente come loro: questa è la storia di ragazzi e ragazze di una classe che col tempo si fa media senza mai riuscire a diventare borghesia. Fino alla fine degli anni Sessanta, la vita elargisce doni e risarcisce delle bombe, delle fortezze volanti, dei rifugi, delle sirene, della contraerea. Chi non è tornato dai campi di battaglia non è tornato, si piange ma sono arrivati gli americani, si balla il tip-tap, adesso si aprono le vaste praterie delle opportunità, della ricostruzione, non è facile ma non è neanche difficile, i morti hanno lasciato tanto spazio ai vivi. Eterni sembrano i nuovi anni ruggenti. All’intervallo le signore accendono i telefonini e rassicurano le amiche su WhatsApps: “Senti che brivido / questa è la vita fantastica di St. Tropez”. Peppino Di Capri.
Negli anni Settanta Mina canta L’importante è finire: “Ha il volto sconvolto / io gli dico ti amo / ricomincia da capo / è violento il respiro / io non so se restare o rifarlo morire / l’importante è è è / è finire…” Quello è il decennio difficile da spiegare, anche per Fares. Troppi avvenimenti, troppi rivolgimenti, fallimenti, fermenti, esperimenti. Sono gli anni peggiori, sono gli anni migliori. Al buio sulla scena, i ragazzi accendono delle torce, si balla su Sister Morphine dei Rolling Stones: “Oh, I can’t crawl across the floor / can’t you see, Sister Morphine / I’m just trying to score / well, it just goes to show / things are not what they seem” (“Non riesco a trascinarmi sul pavimento / non vedi, Sorella Morfina / sto cercando di trovare una dose / beh, questo dimostra / che le cose non sono come sembrano”). Si balla al di sotto del giorno, della luce, della società, del padre e della madre, si danza la libertà psichedelica, chi nelle vene ha la droga, chi la politica, chi la rivolta, chi il fuoco di arti nuove, chi invece sente scorrere tutto: “Per favore, Sorella Morfina / trasforma il mio incubo in paradiso / non vedi che sto scomparendo?”. Non tutte le signore capiscono l’inglese, ma sanno ciò di cui si parla, si parla dei loro figli e altro non si può fare che aspettare la restaurazione, il riflusso, degli anni Ottanta, la grande festa collettiva del turbocapitalismo, dell’ultraliberismo, del reaganismo, del thatcherismo, quando finalmente si realizzano i progetti concepiti dai think tank politici e sociali americani di destra. Another brick in the wall, un altro mattone nel muro, sono i Pink Floyd che si stanno dividendo e non suonano più I wish you were here, gli anni Settanta si spengono, è già arrivata Gloria Gaynor, I will survive, sopravviverò: “Did you think I’d lay down and die? /Oh no, not I! I will survive” (Pensavi che mi sarei buttata giù e sarei morta? / Oh no, non io! Sopravviverò”).
Anche il grande ballo degli Ottanta finirà in mezzo alle ragazze in abiti di lamé, mentre ancora girano le palle a specchi delle discoteche, e si sente il suono delle manette che scattano ai polsi del socialista con garofano rosso. E se l’illusione collettiva è svanita, non resta che isolarsi nelle cuffiette ad ascoltare soltanto la propria musica fino al silenzio, prima che due aerei entrino nelle Torri Gemelle e facciano crollare il Novecento. Moltissimi applausi a tutta la compagnia e al regista.

Marcantonio Lucidi,
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