“Sonetti d’amore” di Shakespeare, ideazione e regia di Melania Giglio. Al Globe di Roma

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William, i sensi, i versi

Una Musa alcolica, barcollante, dionisiaca, sensuale, perfida che canta con voce blues, fusion, rock, quasi metal entra in scena e pervade tutto lo spazio del Globe di Roma, si lancia su William, lo provoca, lo deride, lo sconvolge, scuote la sua anima in cerca di versi d’amore. Shakespeare è innamorato del bellissimo duca di Southampton, ambiguo, androgino, viziato, vizioso. Il mondo naufraga nell’eros, nella sofferenza golosa furiosa dell’ardore, nel deliquio delirante di liquida passione amorosa e di densi materiali sensi.
Sui versi di Shakespeare, Melania Giglio ha ideato e diretto Sonetti d’amore e si è costruita il ruolo d’una Musa matta e inferica come una baccante. Canta Marvin Gaye e Amy Winehouse, Leonard Cohen e Alanis Morissette con la ferocia spiritata di una carnivora femmina bramosa di menti poetiche. La sua è una prova che costringe agli aggettivi superlativi: bravissima, divertentissima, deliziosissima, completissima alla recitazione e al canto, tutta sense of humour e giochi di voce e improvvisi cambi di registro, di tono, di ritmo, e spassosi gesti inaspettati e mimiche saettanti. Una splendida artista della scena. Non solo travolge con la sua energia ma distilla momenti d’una malinconia intima e languorosa. Attorno a lei altri tre attori per nulla intimiditi dall’intensità della Musa stanno in pieno agio nel mondo dei sogni d’amore e carne, di poesia e musica edificato dalla Giglio con la stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e gli incubi degli uomini, la gelosia, il tradimento, il desiderio, l’ambizione, l’affanno, il piacere notturno. Alfonso Veneroso interpreta Shakespeare e dice della fragilità del genio che si smarrisce nel viaggio della vita e sviene nell’intensità del mondo, però poeta e distillatore di quel liquore forte che è l’incredibile esperienza dell’esistere. Sebastian Gimelli è il conte di Southampton, il bambino adulto, il puro impuro, la grazia del maschio femmineo che s’alimenta di peccato e perdizione come il cipresso di cimitero della carne cadaverica. Francesca Mària è una dark lady, un mugolio in onore dell’amplesso, un mistero del sesso da bordello, voce d’un canto acuto rivolto all’alta bassezza di un godimento da avanspettacolo, comico nella sua semplice goduriosa soddisfazione dei corpi.
E a sostegno di tutto ciò, vi è la costruzione teatrale della Giglio, un pensiero scenico romantico e rock che prende dei sonetti non per farne il monologuccio per seratina d’onore con violoncellista d’accompagno, ma il gran tamburo poetico di uno spettacolo sulla sfrenatezza di esistere e di stare in scena. Si replica lunedì 26 settembre.

Marcantonio Lucidi,
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