“Salieri contro Mozart” di Oliva e Manni al Belli di Roma

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La parodia del tragico

Il bello del teatro è che si tratta di un posto libero. Si può decidere di fare uno spettacolo su Mozart e Salieri tratto da Puskin oppure di allestire Sistema Petacchia, ‘ gni botta ‘ na tacchia, una vecchia farsa in dialetto romanesco. Tutto sta a sapere cosa si sa fare. Siccome Alberto Oliva e Mino Manni sono milanesi, hanno portato al teatro Belli di Roma un loro adattamento della famosa opera nella quale il poeta russo accusa Salieri di avere avvelenato Mozart. Questa questione della rivalità fra i due musicisti è diventata un luogo comune assai sfruttato: l’operina di Puskin, scritta intorno al 1830, messa in musica da Nikolaj Rimskij-Korsakov alla fine dell’Ottocento, riscritta teatralmente da Peter Shaffer nel 1979 e portata al cinema da Milos Forman con Amadeus nel 1984 (sceneggiatore lo stesso Shaffer). Siccome questa storia è intrigante, per carità, ma insomma non si sta di fronte a Cesare e Bruto o Otello e Jago – infatti l’accorto russo ne fece un piccolo dramma di un atto e quattro scene – forse adesso sarebbe il caso di lasciare decantare l’amena vicenda per il prossimo secolo, onde evitare l’insistenza di sfruttare una vena aurifera esausta o ancora, come scrivono gli stessi Oliva e Manni per indicare il significato del loro spettacolo, “una discesa negli inferi della mediocrità”.
Capita a teatro infatti che si confonda il soggetto con l’oggetto, ossia che un regista, giudicando opportunamente Vladimiro ed Estragone due straccioni, allestisca su Aspettando Godot uno spettacolo straccione.
I due autori di questo Salieri contro Mozart devono avere in qualche modo sentito l’esigenza di completare Puskin, perfezionarlo, e hanno preso un po’ di roba in giro, da Il soccombente di Thomas Bernhard, dal Dostoevskij del capitolo sul Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov, dalle lettere di Mozart e dai libretti delle sue opere, in particolare Il Flauto Magico per donare allo spettacolo quella opportuna piega misterico-sulfureo-massonica che sta bene come il peperoncino nei maccheroni e che il povero Puskin aveva omesso. Ne viene fuori una regia sconclusionata dello stesso Oliva che non sa rispondere alla domanda: cos’è questo spettacolo? Una tragedia, una commedia, una farsa, uno scherzo, o magari un’atellana, un intermezzo con musiche, o uno spettacolo di kabuki (che poi in effetti consiste nella rappresentazione di fatti drammatici realmente accaduti)? E soprattutto non risponde all’interrogativo più importante: perché l’hanno fatto? Ma il teatro appunto è un posto libero dove l’artista può fare quel che vuole ma anche lo spettatore avrebbe dei diritti, per esempio lanciare gatti morti, come era d’uso a Roma una volta, o vecchie scarpe se è un animalista.
In scena recitano l’altro coautore, Mino Manni assieme a Davide Lorenzo Palla. Tuttavia dalla locandina non si sa chi fa Salieri e chi Mozart. Questa di non indicare la cosiddetta distribuzione, cioè il ruolo di ogni attore, è una pratica ormai comune, come se ogni volta il pubblico si trovasse di fronte Laurence Olivier e Joan Plowright e quindi fosse impossibile non riconoscerli. Comunque Manni è Salieri e recita, non interpreta perché dà l’impressione di cadere nella peggior trappola del suo mestiere di recitare un sentimento, in questo caso l’invidia in luogo d’interpretare l’invidioso. Palla invece non recita ma imita Tom Hulce, il protagonista del film di Forman – la risata isterica, i gesti di patologico infantilismo, i toni da eccentrico sopra le righe – fino a trasformare Mozart in una macchietta. Anzi, in una parodia del tragico.

Marcantonio Lucidi,
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