“Metaforicamente Schiros”, uno spettacolo di Beatrice Schiros, da lei scritto assieme a Gabriele Scotti. Allo Spazio Diamante di Roma

Metaforicamente Schiros

La grande avventura di una vita normale

Beatrice Schiros ha portato allo Spazio Diamante di Roma un monologo il cui titolo, Metaforicamente Schiros, indica l’autobiografia teatrale, attuale flagello dei palcoscenici. Il racconto della propria vita, tema perfetto per la rubrica del chisseneimporta, contiene una domanda spesso fatale: la storia personale del monologante è o non è più avvincente di quella degli spettatori? Perché vi sono altissime probabilità che in platea, soprattutto se piena come l’altra sera, vi siano persone dalle vite ben più interessanti, affascinanti, sorprendenti di quella dell’attore in scena. Tutto sta allora nel come si racconta la propria storia e sotto questo aspetto non si può che convenire con il divertito, entusiasta e più volte plaudente pubblico, nel quale certamente s’annoverava qualcuno con una vicenda personale avventurosa assai, sulla formidabile bravura della Schiros. Gran senso dell’umorismo, ironia ed autoironia impietose, tempi e controtempi teatrali fitti ed efficaci quanto i tricche tracche di Natale a Napoli.
Poi si pone un’altra questione che riguarda il contenuto: Schiros parla tanto di sesso, di anelli anticoncezionali, di amplessi, fellatio, sex toys, plug anali con le piume colorate, falli di plastica, pillola e cerotto ormonali, posizioni coitali, di un lui che durante l’accoppiamento guarda Raimondo Vianello in televisione (Sandra Mondaini non viene citata, chissà perché, forse si dubita che possa ispirare eroticamente), di lei che ora vive sola e non fa l’amore da dodici anni. Sembra di essere piombati inaspettatamente in uno spettacolo di cabaret femminile degli anni Ottanta, una cosa alla Grazia Scuccimarra. Il tempo deve essersi fermato a quarant’anni fa oppure malgrado le apparenze, non d’un centimetro il mondo ha progredito. L’attrice cita lo strizzacervelli, il papà bancario, la mamma professoressa, discreta e delicata come un megafono a una manifestazione di studenti arrabbiati. E mentre l’attrice racconta cose non insolite, l’asilo, le due bocciature scolastiche, le frequentazioni adolescenziali dei tossici, il fratello paninaro, anche le sue tribolazioni con le proprie feci, viene sempre più chiaro qual è il segreto della sua abilità nella trasformazione di tali fatterelli in uno show brillante e in certi momenti commovente. Schiros è capace di un’operazione piuttosto difficile, ossia passare dal drammatico al comico (il contrario è molto più facile) portandosi la platea appresso in una progressiva rarefazione della pena che lascia spazio al divertimento. Quando racconta dei suoi genitori divenuti anziani e spiega che grazie al proprio dolore causato dalla sofferenza del padre demente ha scoperto delle cose di se stessa, si sente in sala una tristezza che s’amplifica alla rievocazione della morte di sua madre. Adesso vediamo come si tira fuori da questa trappola di mestizia: andando alle pompe funebri ed entrando in una specie di show-room di bare con i vari tipi di legno e di rivestimento interno. Umorismo non nuovo ma dai tempi perfetti per uscire dal drammatico. Lo spettacolo è tutto costruito come un saliscendi di umorismo spietato e di amarezza più o meno sotterranea, tanto che alla fine viene da pensare che le vite più appassionanti non sono obbligatoriamente quelle di chi ha attraversato il deserto di Gobi e mangiato alla tavola di sciamani caucasici, ma di coloro che hanno oltrepassato con coraggio la desolazione della normalità e cercato il segreto delle vite modeste.

Marcantonio Lucidi,
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