“Silvio” scritto e diretto da Giovanni Franci. Con Gabriele Guerra, Priscilla Micol Marino, Tiziana Sensi e Riccardo Pieretti. Al teatro Off Off di Roma
Berlusca, una maschera di Commedia dell’Arte
Silvio Berlusconi non esiste, è una maschera di Commedia dell’Arte, un Pantalone il Magnifico, ricco mercante che cerca sempre di acchiappare una Colombina o una Rosaura; un Brighella abile canterino, furbo e contafrottole così bravo da voltare la bugia in verità e viceversa; un Capitano spaccone e buffonesco; un Balanzone detto il Dottore il cui nome viene dal bolognese balanza, bilancia, suo segno zodiacale e simbolo della legge contro la quale ha un atteggiamento a dir poco rissoso. Il Berlusca, questa maschera nata nella seconda metà del Novecento, rappresenta l’italianità fin de siècle nella più intensa manifestazione degli stereotipi che all’estero affibbiano agli abitanti della penisola.
Da un simile istrione, che concentra in sé alcuni dei tipi di Commedia dell’Arte più popolari, è difficile cavare un personaggio, una psicologia con la quale lavorare sulle ragioni dei fatti oltreché sui fatti. E il problema delle operazioni biografiche come lo spettacolo scritto e messo in scena da Giovanni Franci all’Off Off di Roma, Silvio, è che gli eventi sono noti e non offrono sorprese. Allora l’autore immagina una situazione mai avvenuta durante l’ultimo giorno di vita di Berlusconi su una sedia a rotelle in ospedale. Lo spettacolo quindi non è una “cronaca in scena” come si legge nella presentazione, ma un’opera di fantasia con dei dialoghi inventati fra il protagonista, un’infermiera sexy con le cosce in vista e le calze bianche autoreggenti, l’ex moglie Veronica Lario e uno scrittore di sinistra che vuole scrivere su di lui. Con loro. Silvio traccia della sua vita un bilancio politico, sentimentale e – la parola suona grottesca – morale.
I fatti ricordati sono veri, si parla di ciò che tutti sanno, i soldi, le donne, le igieniste dentali, le minorenni, le origini ambigue della sua fortuna, il rischio del fallimento e l’entrata in politica nel gennaio del ’94, le collezioni di quadri, le barzellette, i matrimoni, la mamma, le poesie a lui dedicate di Sandro Bondi (in Italia sì è avuto un ministro della cultura che ha vergato A Silvio: “Vita assaporata / Vita preceduta / Vita inseguita / Vita amata.”). Ma non si parla di molte altre cose e fatti poco commendevoli, mancanza che si nota perché lo spettacolo non ha azione teatrale, è solo un racconto di cose risapute che formano un elenco al quale ognuno può aggiungere a memoria. Non c’è una crisi che faccia evolvere i personaggi (escono dallo spettacolo così come vi sono entrati), non c’è un nodo, né un’indagine sul potere, o qualsiasi altro movente dell’agire umano, che in scena non va semplicemente citato ma deve produrre delle conseguenze su quegli stessi personaggi e sulla storia, divenire metafora di una condizione umana, disvelamento di un principio. Se manca la metafora, resta la lista delle cose non ricordate.
È però anche vero che, teatralmente, trasformare una maschera in un personaggio è operazione per il genio di Carlo Goldoni. Storiograficamente, essendo Berlusconi morto da meno di due anni e mezzo, un’analisi storica su di lui e sul suo operato per ora è prematura. Forse la generazione che lo ha avuto fra i piedi come imprenditore televisivo dal’76 e come politico dal ’94, quindi per quasi mezzo secolo, subendo la devastazione antropologica e culturale che questo pregiudicato ha provocato, non è comprensibilmente pronta ad assumere un atteggiamento neutrale, come sembra voler fare Franci. Parimenti, coloro che lo osannarono e tuttora lo osannano.
Gabriele Guerra fa il protagonista il cui originale è esso stesso uno showman eccessivo, ancora troppo presente nella memoria collettiva per non disturbare la prova dell’interprete in scena. Berlusconi è stato il politico che ha distrutto la satira politica, ridotta all’inconsistenza, inoffensiva di fronte all’enormità della sua macchietta. Per fare un solo esempio fra una miriade, supera qualsiasi sketch comico un ex primo ministro che nel corso di una trasmissione televisiva pulisce con un fazzoletto la sedia sulla quale si era in precedenza seduto un giornalista suo nemico.
Attorno al primo ruolo, lavorano Priscilla Micol Marino che restituisce l’infermiera sexy con moderazione evitando il rischio di cadere nello stereotipo della commedia scollacciata; Tiziana Sensi interpreta Veronica Lario instradata dall’autore e regista su un registro nostalgico-sentimentale che indebolisce lo spettacolo; Riccardo Pieretti fa il personaggio dell’intellettuale moralista. I moralisti a teatro raramente reggono più d’una battuta, se intellettuali nemmeno quella.
