“Lacci” di Domenico Starnone, regia di Armando Pugliese, con Silvio Orlando e Vanessa Scalera. Al Piccolo Eliseo di Roma
Autobiografia di un matrimonio
Al piccolo Eliseo con la regia di Armando Pugliese, Lacci è uno spettacolo che scortica la pelle e sfila le vene. Testo teatrale che Domenico Starnone ha tratto dal suo omonimo romanzo uscito tre anni fa, racconta di un fallimento amoroso e matrimoniale, che sarebbe evento d’ogni giorno se non fosse che l’autore lo rende così denso, così acutamente doloroso – come di fiamma di cerino passata sui polpastrelli – da trasformarlo in un’esperienza universalmente condivisibile o comunque comprensibile. Starnone tratta la sofferenza come un suono continuo della musica interiore che ogni essere umano compone ed esegue al centro della propria anima, musica inconfondibile ed originale orchestrata dalla vita e dall’essere spirituale che alberga in noi, unico ed irripetibile.
Erano però necessari due interpreti eccellenti come Silvio Orlando e Vanessa Scalera per tracciare il lungo solco di malinconia d’un prigioniero dell’ineluttabile se stesso che caratterizza il marito e per segnare la moglie della tenacia e dell’orgoglio necessari alla sopravvivenza della donna che viene lasciata e poi si riprende il consorte. Lo spettacolo è diviso in momenti che rappresentano le diverse età dei protagonisti: il primo quando lui poco più che trentenne è scappato con un’altra e lei legge le lettere che gli scrive, messaggi accorati, disperati, furiosi, minacciosi, sviscerando se stessa più che il traditore, esponendo sul banco di una macelleria dell’amore le carni, le ossa, i nervi del proprio dolore. La seconda parte, che incomincia quando i due sono tornati a vivere insieme da molto tempo, si svolge trent’anni dopo in un giorno poco fausto in cui la loro casa è stata sconvolta dai ladri. Stavolta è lui a parlare, si confida con il vicino (interpretato da Roberto Nobile), squaderna il passato e perlustra il fondo del suo matrimonio, laddove corrono sotterranee le corde che uniscono due persone. Un matrimonio è intrico, matassa, affastellamento in una cantina di pensieri abbandonati, trascurati, rovesciati, di ricordi che pulsano ancora di vita nel loro coma apparente, di sentimenti che lasciano colare gocce d’un sangue d’anima, di malinconie che rodono come topi le parole non pronunciate, le scelte sbagliate, gli slanci censurati.
Il terzo momento è dei due figli, un uomo e una donna (restituiti da Sergio Romano e Maria Laura Rondanini), hanno l’età dei genitori quando si separarono momentaneamente, sono la nuova generazione di adulti che camminano intorno alle esistenze dei predecessori come si passeggia al cimitero fra i vialetti dei sepolcri. Prendersi il mondo è un atto di ferocia inevitabile, gli esseri umani calpestano le vite dei loro padri, ma è una tragedia che Starnone osserva come una commedia e che la regia di Armando Pugliese accompagna con delicatezza d’archeologo intento a maneggiare un papiro di geroglifici. È l’alfabeto della relazione fra il marito e la moglie, è la lingua dei lacci che li uniscono, è la grammatica del tempo che passa e non lenisce nessun dolore.