“!Ay, Carmela!” di José Sanchis Sinisterra, regia di Ferdinando Ceriani, con Elisa Di Eusanio e Andrea Lolli. Al teatro Palladium di Roma
Il dramma ucciso dal tempo
In scena al Palladium di Roma con la regia di Ferdinando Ceriani che dirige Elisa Di Eusanio e Andrea Lolli, !Ay, Carmela! è un testo scritto da José Sanchis Sinisterra nel 1986, cinquantenario della guerra civile spagnola. Il titolo è tratto da una popolare canzone antifascista, El paso del Ebro, cantata dall’esercito repubblicano nel ’36. Il dramma ha avuto edizioni teatrali in molti paesi, in Italia fu messo in scena nel ‘91 con Edi Angelillo e Gennaro Cannavacciuolo, è stato oggetto di una versione televisiva e di un adattamento cinematografico firmato nel 1990 da Carlos Saura con Carmen Maura e Andrés Pajares. Si tratta quindi di un’opera fortunata, andata in scena per la prima volta nel 1987, in piena Movida spagnola, al Teatro Principal di Saragozza, dodici anni dopo la morte del caudillo Francisco Franco.
Questa Elegia de una guerra civil en dos actos y un epílogo, come informa il sottotitolo, che parla di libertà e tirannide, racconta della scelta fra la dignità e la vita. L’argomento, serissimo. è però sviluppato con un taglio a tratti comico, una specie di tragico grottesco. L’azione si svolge nel 1938 durante la guerra civile spagnola al teatro Goya di Belchite, città aragonese luogo di una famosa battaglia fra franchisti e repubblicani. Carmela, una ballerina di flamenco ormai morta torna per ripercorrere la vicenda che la vide protagonista su quel palcoscenico assieme a Paulino, cantante e cabarettista. Quindi la morte c’è già, fin dall’inizio, e consente all’autore di lavorare alla frontiera della vita, di narrare al confine fra realtà e immaginario. I fascisti pretendono dai due artisti che mettano in scena uno spettacolo di varietà patriottico al quale assisteranno assieme a un gruppo di soldati repubblicani prigionieri condannati a morire fucilati il giorno dopo.
Al di là degli aspetti compositivi che mischiano il passato e il presente, la realtà e la memoria, i vivi e i morti, il palcoscenico del teatro e la scena della Storia, il fatto è che il testo è rimasto al tempo in cui fu scritto. Oggi che il potere, tirannico o fintamente democratico, assume le sembianze farsesche di Trump, che crimini contro l’umanità sono commessi da una parodia di Satana come Netanyahu, che una maschera gogoliana di burocrate uscito dalla Lubjanka e divenuto la caricatura piccolo-borghese di Stalin governa la Russia, svuota il grottesco di carica umoristica ed eversiva. Se il tiranno diventa la maschera farsesca del tiranno, è impossibile prenderlo in giro come Charlot faceva con Hitler e Petrolini con il Mascella nazionale, Benito, quasi un guitto ma ancora al di qua dell’avanspettacolo, seppur di un millimetro. Non si può fare la parodia di una parodia, la macchietta di una macchietta. In Italia, che tutto sommato è una democrazia, si è avuto un politico superiore a qualsiasi caricatura: Silvio Berlusconi, un magnifico Pantalone che ha quasi distrutto la comicità politica. Assai più comici delle satire a loro dedicate appaiono un Capitan Spaventa alla Ignazio La Russa, una chiacchierona, irascibile, vanitosa Rosaura come Giorgia Meloni o i vari zanni del governo e del Parlamento.
Il testo di Sinisterra si offre oggi a un pubblico uso allo spettacolo internazionale di veri e propri pagliacci, sovente di clown assassini. Ma non possiede la forza di un Macbeth, di un Riccardo III, i quali sono dei princìpi manifestati come personaggi, quindi universali e validi al di sopra della contingenza storica.
Ecco perché malgrado la loro bravura, i due interpreti Elisa Di Eusanio e Andrea Lolli, perfettamente in parte, molto abili in questo meccanismo di teatro nel teatro, al contempo interpreti di un dramma tragico e artisti di varietà con una gran vis comica, non riescono a reggere lo spettacolo per un’ora e quaranta. Né il regista, peraltro autore di una messinscena pulita, di mestiere, risolve i due finali, netti al punto che al falso epilogo la platea parte nel tipico applauso da chiusura di sipario.
Il tema centrale del testo, la scelta fra dignità e vita, che non riguarda soltanto la morte fisica ma appunto la vita, quotidiana anche, non svendersi mai nel lavoro, in famiglia, nelle relazioni, non rinunciare alla propria nobiltà morale, non barattare l’onore con la sopravvivenza, qui non si eleva a norma dell’agire umano ma resta immerso nel tempo che passa sopra un testo di ieri.