“Come una specie di vertigine – il Nano, Calvino, la libertà” scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta. All’Argot di Roma

05 Mario Perrotta Calvino

La giacca del dolore

Di Italo Calvino dovrebbero essere citati nel monologo scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta all’Argot di Roma Il barone rampante, Il cavaliere inesistente, Le cosmicomiche, Palomar, Le città invisibili, Lezioni americane e soprattutto La giornata di uno scrutatore, in cui una pagina parla di un nano. Si chiede venia se l’ignoranza impedisce di cogliere tutti i riferimenti e indulgenza se per caso una tronfia presunzione ha individuato citazioni inesistenti quanto il cavaliere.
Titolo Come una specie di vertigine il Nano, Calvino, la libertà, in cui il primo rappresenta una condizione umana, lo scrittore formula il problema riguardo la condizione e la libertà è la soluzione. Il romanzo e lo spettacolo sono ambientati al Cottolengo di Torino, altrimenti detto «Piccola Casa della Divina Provvidenza» che ha la funzione “di dare asilo”- scrive Calvino – tra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformi, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere”, le quali sarebbero quelle che venivano chiamate mostri. Perrotta interpreta il nano, o meglio la mente del nano. “Cosa pensava di noi – si legge ne La giornata di uno scrutatore – di tutti noi?”. Il monologo di Perrotta è la risposta a questa domanda. Infatti il rapporto fra il deforme e la platea, ossia gli altri, è rovesciato: è lui a guardare noi spettatori che viviamo fuori dal Cottolengo e siamo prigionieri della nostra anima deforme. Il nano invece vive, vibra, pensa, osserva. Ama e desidera la bella suora che tutte le mattine arriva e mette su la famosa canzone di Jimmy Fontana Il mondo: “Gira, il mondo gira / Nello spazio senza fine / Con gli amori appena nati / Con gli amori già finiti / Con la gioia e col dolore / Della gente come me”.
Oggi è il 7 giugno 1953, giorno di elezioni (quelle della famosa “legge truffa”) e l’urna è aperta anche qui perché i pazzi, i disabili, i ciechi di questo gigantesco ospizio governato dalle religiose sono voti per la Democrazia Cristiana. Le suore guidano le mani dei malati a tracciare sulla scheda la croce per il partito giusto perché da soli non sono capaci. Calvino, o meglio Amerigo Ormea (suo alter ego nel racconto), è iscritto a un partito di sinistra e fa lo scrutatore dell’opposizione al seggio elettorale. Il nano di Perrotta fa invece lo scrutatore dell’umanità. Dice di sé e dei suoi disgraziati compagni: “I nostri non sono corpi, sono fissi nel tempo, fissi nello spazio”. Carcere duro che però la mente può aprire per divenire libera nell’inesauribile flusso di se stessa. Con lo scorrere del pensiero, passano il barone rampante Cosimo, essere anomalo e straordinario; il Qfwfq delle Cosmicomiche, creatura vecchia quanto l’universo, e un certo bizzarro Kgwgk che si trova su un altro sistema planetario; Palomar che si chiama come un osservatorio astronomico. Gli uomini si vedono meglio da lontano e con un telescopio. Il significato di tutto ciò sta in un pensiero di Ormea (anagramma di amore) che gli arriva mentre osserva un vecchio contadino che viene tutte le domeniche al Cottolengo a schiacciare mandorle per la merenda del figlio deficiente e guardarlo masticare: “L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo”.
Applausi alla fine dello spettacolo da un pubblico in certi momenti commosso. Perrotta si alza dalla sedia nella quale è stato seduto per un’ora e un quarto, ha recitato in prosa, in versi, ha cantato, contorto le braccia, le gambe, il collo, il corpo in modo spastico, ha contratto il volto in espressioni paraplegiche, con abilità mimica si è molto adoperato per lasciare poco all’immaginazione dello spettatore. Adesso che si alza per ricevere il gradimento del pubblico, la giacca di lamé che ha indossato per tutta la rappresentazione si rivela così incongrua, così assurda per un viaggio nelle vastità del dolore, del pensiero libero e della letteratura di Calvino. È troppo leggera, troppo brillante per essere allegra. È la giacca dei nani al circo.

Marcantonio Lucidi,
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