“La rivolta degli oggetti” di Vladimir Majakovskij, regia di Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi. Con Dario Caccuri, Caterina Ellero, Antonio Santalena. Al teatro India di Roma

La rivolta degli oggetti

I migliori anni ’70 della nostra vita

Si vede tutto anche oggi, si vedono l’improvvisazione sul corpo e Jerzy Grotowski, si intuiscono Merce Cunningham, Steve Paxton e la postmodern dance americana, si sente Vladimir Majakovskij. Questo teatro concepisce la scena come uno spazio poetico, uno spazio della mente poetica. Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi hanno rimesso in scena all’India per Romaeuropa Festival La rivolta degli oggetti di Majakovskij, lo spettacolo del 1976 che pose il loro gruppo, la Gaia Scienza, come uno dei migliori e dei più importanti della scena teatrale italiana di quegli anni.
La Gaia Scienza nacque su un treno che da Roma andava a Venezia e portava tre ventenni alla Biennale. Chiacchierarono tutta la notte, all’epoca l’alta velocità non esisteva, c’era la bassa velocità che regalava tempo per vivere, pensare, parlare, ascoltare e leggere. Solari e Vanzi erano interessati a Grotowski, Barberio Corsetti al Living Theatre. Poi furono scelti tutt’e tre dal maestro polacco per un seminario. Quando tornarono a Roma, incominciarono a lavorare insieme e nacque La rivolta degli oggetti. A rivederlo oggi è uno spettacolo molto anni Settanta, messo in scena a pochi mesi dal ’77 del Movimento studentesco e letteralmente colmo di spirito del tempo, del rifiuto d’ogni gerarchia, di un senso della libertà che imponeva altre e ancora altre scomposizioni e ricomposizioni della forma-teatro, oltre quanto già destrutturato dalle avanguardie anni Sessanta e riconfigurato con la danza, la poesia, il movimento dei corpi. In scena movimento, nella società Movimento.
Da un po’ di tempo si è incominciato a capire la superiorità artistica, culturale, intellettuale degli anni Settanta nel nostro Paese rispetto ai decenni successivi di caduta delle menti. Le Brigate rosse sparavano, ma se quelli erano anni di piombo oggi sono di fango per causa di certi delinquenti politici della destra italiana razzista e antisemita. Quello spettacolo della Gaia Scienza arrivò in un momento, oggi con prospettiva storica è chiaro, in cui si manifestavano due tendenze contraddittorie nel mondo: la prima, proveniente dagli anni Sessanta, dava valore all’amore libero, alla nudità e alla libertà dei corpi e delle anime, all’emancipazione dei lavoratori e degli esseri umani tutti; la seconda privilegiava la competizione, la pornografia del sesso e la bassezza di pensiero, il cinismo, la finanza e le stock-option. L’anno successivo alla Rivolta degli oggetti, arrivò nelle sale americane La febbre del sabato sera e in quelle italiane nel marzo ’78 (mentre Moro veniva rapito). Non fu subito manifesto che la vittoria era di Tony Manero e che il sogno della classe proletaria, operaia e studentesca, non è di fare la rivoluzione ma di diventare borghese. La Gaia Scienza si sciolse nel 1984. Giorgio Barberio Corsetti ne darà una spiegazione quattro anni più tardi nel corso di una lunga intervista: “Da un certo punto in poi non è stato più possibile porsi al di fuori delle istituzioni, cosa che fino allora era stata quasi un principio. Bisognava porsi nel mercato se si voleva sopravvivere… Bisognava porsi all’interno delle strutture, cominciare ad operare in maniera diversa”. Il sogno segreto dei corvi di Orvieto è aprire le porte ai corvi di Orte.
Lo spettacolo va visto dalla giovane generazione di artisti per non ripetere cose già fatte dai predecessori. E anche dai giovani spettatori per non farsi turlupinare da teatranti furbacchioni che spacciano come farina nuova del sacco loro roba di quarant’anni fa. Serve inoltre a ricordare a tutti coloro che all’epoca andavano in sala che la ricerca teatrale sapeva essere rigorosa e innovativa. A descrizione dell’edizione attuale all’India, si può tranquillamente usare una selezione di citazioni dalle critiche del 1976, tanto resta moderna La rivolta degli oggetti, purtroppo sufficientemente all’avanguardia da alimentare il sospetto che oggi ci si trovi incastrati fra la pavidità di un conservatorismo teatrale quasi controriformistico e l’imbroglio di una sperimentazione a dir poco reazionaria per la sua violenza, la sua iattanza, la sua ripetitiva mediocrità. Giuseppe Bartolucci scriveva di un “uso spiazzato del gesto dell’attore” e di “consapevolezza del proprio agire per frantumazione, senza ombra di compiacimento e di negatività”. Tommaso Chiaretti analizzava la prova dei tre artisti in scena: “Alessandra Vanzi è dolcemente immersa in una flessibile ricerca mimica, una continua danza estenuata. Marco Solari, magro e dinoccolato come un giovane Barrault, dice i versi con aggraziati accenti alla Carmelo Bene. Giorgio Barberio Corsetti, che è anche il regista, sottolinea con improvvise intelligenti rotture il senso di astratta desolata solitudine”. Ubaldo Soddu: “Tre attori appaiono legati da un flusso che ne aggioga movenze e pensieri ed essi oscillano a ritmo di danza dissonante, si sfrenano su e giù per quelle corde sospese, mentre il suono di un violino esprime sullo sfondo il tormento dell’irrealizzabile, il fascino di quanto irrimediabilmente sfugge”. Ci voleva senso poetico per fare critica di un teatro poetico. E in ultimo, Italo Moscati: “Scatti, corse, movenze quasi clownesche. Passeggiate e dondolii sulle corde tese tra due pareti. Uno specchio. Una pistola. Uno straccio rosso. Un cappotto e un berretto”.
Gli attori in scena all’India naturalmente sono altri – Dario Caccuri, Caterina Ellero, Antonio Santalena – diretti dai tre del ‘76, Barberio Corsetti, Solari e Vanzi. Cosa manca? Poco, molto poco, i giovani sono bravi, in ispecie Caterina Ellero. Però manca abbastanza, la dolce immersione della Vanzi, la grazia di Solari, le rotture di Barberio Corsetti. Del vitalismo collettivo di quegli anni è rimasta tutt’al più una vitalità individuale, ed è già molto. Alla freschezza della Gaia Scienza una freddezza ricostruttiva, al rigore di quella ricerca teatrale una severità compositiva. E la libertà è diventata liberismo. Non è colpa dei tre compagni della vecchia Gaia Scienza. È colpa del tempo. Piove.

Marcantonio Lucidi,
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