“Sorella con fratello” di Alberto Bassetti, regia di Alessandro Machia, con Alessandra Fallucchi e Alessandro Averone. Al teatro dei Conciatori

Fratello con sorella

La danza del crimine e dell’incesto

Uno spettacolo tutto costruito sul rapporto fra attori e testo, con scenografia e costumi ridotti al minimo indispensabile. Allestito al teatro dei Conciatori con la regia di Alessandro Machia, Sorella con fratello rappresenta l’ultimo dramma d’una “trilogia della famiglia” scritta da Alberto Bassetti (dopo Le due sorelle e I due fratelli).
Testo però autonomo dai precedenti e, anche se di una ferocia contemporanea, in un certo qual modo ibseniano per come introduce il tema del passato che si fa azione nel presente e permette di sviluppare lo studio dei personaggi secondo una tecnica analitica. Una serie di rievocazioni e rivelazioni di fatti accaduti prima che incominci il dramma rilascia a poco a poco i suoi veleni nel dialogo fra i due fratelli. Lea è in prigione, più esattamente in un istituto sostitutivo del carcere, per un crimine terribile che non sarebbe giusto rivelare (onde evitare un sabotaggio della suspense a chi volesse vedere lo spettacolo). Leo per molti anni è andato tutti i giorni a trovarla fino ad oggi, vigilia della scarcerazione. La situazione creata da Bassetti è apparentemente statica, il dinamismo della pièce è dato da queste onde di passato che progressivamente cambiano la relazione fra i due protagonisti, la induriscono, la incrudeliscono.
Machia nelle sue note di regia scrive che la scrittura “tocca due temi fondamentali come l’identità e il desiderio”. L’osservazione è precisa e denota l’attenzione del metteur en scène per la costruzione dei personaggi e per le loro motivazioni, che primeggiano sulla relazione fra passato e presente, affrontata qui non filosoficamente ma come dispositivo dell’azione teatrale. È una scelta che punta tutta la strategia della messinscena sui personaggi e chiama Alessandra Fallucchi e Alessandro Averone non a un semplice lavoro, più o meno abile, di recitazione, ma a un atteggiamento interpretativo complesso e profondo. Anche perché la relazione fra Lea e Leo ha il suo fondamento nell’incesto, punto molto delicato per gli attori in quanto lo devono suggerire prima ancora che il testo lo riveli e senza pregiudicare la tensione drammatica che scorre nei dialoghi.
A governare bene i tempi dei disvelamenti è Alessandro Averone che fornisce un’interpretazione coerente e ben distesa nei ritmi che l’evoluzione del personaggio richiede. L’interprete apre con l’inesorabilità del metronomo la torbida complessità interiore del fratello e mostra pezzo per pezzo il meccanismo psicologico che ne governa le parole e l’agire (in questo dramma l’agire è quasi interamente compreso nella parola). Si mette quindi al servizio del personaggio accompagnandone l’evoluzione fino alla tragica caduta. Il movimento di Leo procede dall’interno di un carattere all’esterno, da una condizione soggettiva a una situazione oggettiva, da una psicologia alla vita. Il percorso previsto per Lea è opposto: va verso se stessa dalla galera che è un’istituzione totale, che è la vita; da una condanna emessa in nome della collettività avanza verso la libertà e la propria identità. Quindi l’autore ha scritto una danza dei personaggi nel punto d’incontro fra due percorsi uguali e contrari. E questo punto d’incontro è lo spettacolo. Una danza di amore e morte, di prigionia e liberazione. Ma la Fallucchi si trincera dietro una sorta di monolitismo interpretativo. Offre tecnica recitativa ma Lea non si muove, l’attrice la incarcera in una specie di enigmaticità, in un’altera freddezza, ossia il contrario della libertà verso la quale il personaggio deve andare. Il disegno di una donna che si rende irraggiungibile all’incestuoso fratello produce una distanza artificiale e teatralmente poco efficace, ma soprattutto impedisce proprio quella danza delle parole e dei sentimenti in cui sensualità e diniego, attrazione e ripulsa, passato e presente si stringono nella salvezza e nella perdizione. Non prive di responsabilità le luci che, manovrate male e fuori tempo, non danno le giuste atmosfere. Al ghiaccio arriva la Lea di Fallucchi, e certo non ghiaccio bollente, sicché molte occasioni dell’ottimo testo di Bassetti son perse: la complessità dei rapporti familiari, le ragioni del desiderio, gli abbracci mortali dell’amore e della colpa, l’estasi tormentosa di vedere il proprio sangue cadere per mano del proprio sangue.
Si potrebbe vedere la prova della Fallucchi anche da un altro punto di vista e sostenere che è giusta la sua interpretazione del personaggio ma allora ad Averone andrebbe un Leo del tutto diverso, fin dall’inizio incalzante, aggressivo, addirittura violento nel suo tentativo di ridurre la distanza, ma in contrasto con la parabola del personaggio disegnata da Bassetti. Lo spettacolo si consuma laddove la regia probabilmente non voleva senza riuscire a impedirlo: in due balli diversi, solitari, che solo il dialogo mette in relazione e non la forza vitale di Lea e la disperata energia di Leo che Averone sa generare ma che resta lì, teatralmente senza risposta.

Marcantonio Lucidi,
Stampa Stampa

I commenti sono chiusi.