La conferenza stampa del Teatro di Roma

teatro Argentina

Giornalista, non fare domande

È invalsa l’abitudine pessima di chiudere le conferenze stampa senza dare la possibilità ai giornalisti di fare domande. È successo ieri all’Argentina dove il direttore del Teatro di Roma Antonio Calbi dopo quasi due ore di presentazione del cartellone 2015-2016 precedute dalle chiacchiere del sindaco Ignazio Marino e dell’assessore alla cultura della Regione Lazio Lidia Ravera, ha salutato e ringraziato i presenti in sala senza usare la formula, dettata non solo dalla consuetudine ma anche dalla buona creanza: “Ci sono domande?
Forse si voleva che non ci fossero domande, malgrado l’invito alla simpatica riunione recitasse testualmente: “Il Presidente Marino Sinibaldi e il Direttore Antonio Calbi hanno il piacere di invitare la S.V. alla Conferenza Stampa di presentazione della stagione 2015.2016 del Teatro di Roma”.
Sarebbe stato gentile da parte di Calbi dare ai giornalisti la possibilità di chiedere: Caro direttore, come mai, malgrado i suoi toni trionfalistici, le fotografie di file di gente fuori del teatro che lei ha fatto proiettare su grande schermo, malgrado le sue alte considerazioni del tipo “Abbiamo lavorato tanto e sodo tutti i giorni dell’anno, tutti i mesi, perché per noi il teatro è la vita stessa, è Essere. Ecco perché abbiamo adottato, quest’anno, il claim Teatro. Dunque sono, ispirato a Cogito, ergo sum di Cartesio”, ecco, come mai, lasciando Descartes per migliori occasioni, il Teatro di Roma ha avuto dal ministero dei Beni culturali meno soldi del Piccolo di Milano e persino del Teatro Stabile di Torino? Perché dei tre nuovi Teatri Nazionali, quello milanese ha ottenuto 3.252,094,00 euro, i torinesi 2,647.905,00 e Roma soltanto 1.881.417,00? Forse il progetto triennale che lei ha presentato al ministero è stato ritenuto dalla commissione prosa della Direzione generale dello spettacolo dal vivo meno importante, valido, insomma meno eccezionale di quelli del Piccolo e dello stabile di Torino. La parola “eccezionale”, di cui ormai si fa un abuso stucchevole come un barilotto di zucchero in un bicchiere di Grand-Marnier, è ricorsa varie volte nella presentazione di Calbi degli spettacoli scelti per la prossima stagione. Ma “eccezionale” non è una risposta.
Si sarebbe potuto chiedere a Ignazio Marino, il quale ha dichiarato che in quanto uomo di scienza, ama i numeri, quanti soldi intende dare al Teatro di Roma quest’anno e il prossimo e se pensa di tagliare ancora il finanziamento comunale d’un dieci per cento, come ha fatto l’anno scorso. Qui poi il problema si fa serio perché il ministero nel decreto del luglio 2014 che riforma il Fus (Fondo unico per lo spettacolo) pretende che – articolo 10, comma 2a – “vi sia l’impegno di enti territoriali o altri enti pubblici a concedere contributi per una somma complessivamente pari al cento per cento del contributo statale, e tali da garantire la copertura delle spese di gestione delle sale”. E questa è una condizione da rispettare improrogabilmente (nel decreto infatti non si prevedono proroghe al riguardo) per l’ottenimento del contributo ministeriale. La Regione quest’anno ha stanziato per il Teatro di Roma 1.190.000 euro. Per arrivare a 1.881.417 ne mancano 691.417. Domanda all’assessore Ravera e al sindaco Marino: chi li deve mettere? Ancora la Regione, il Comune o quale altro ente pubblico o territoriale? Magari la Comunità montana dei Castelli Romani e Prenestini?
Ancora una domanda per l’assessore Ravera: il 19 dicembre 2013 l’allora presidente dimissionario del Teatro di Roma Franco Scaglia (scomparso proprio ieri), dichiarava all’Ansa che la Regione Lazio non pagava dal 2009 e doveva al Teatro di Roma sei milioni di euro. Per questa ragione, sul teatro gravava un’esposizione bancaria con 150mila euro di interessi passivi l’anno. Ora pare che un paio di milioni la Regione li abbia dati. Gli altri milioni quando li dà? E gli interessi passivi chi li paga?
A proposito di Franco Scaglia, in quella dichiarazione del dicembre 2013 l’allora presidente in prorogatio del Teatro di Roma annunciava che si dimetteva dal teatro perché “offeso dal sindaco Marino, che in tanti mesi non ha mai avuto la gentilezza di incontrarmi e amareggiato per come viene trattata una istituzione importante per la città”. Marino è stato talmente bravo e opportuno da avere affermato: ”Abbiamo trovato il teatro in una situazione drammatica come tante aree strategiche della nostra città dopo il disastroso periodo della Giunta Alemanno che aveva portato un impoverimento culturale della città”. È stato facilissimo per l’ex sindaco controbattere con un comunicato: “La sfortuna ha voluto che la sua sparata si sia trasformata in un’offesa alla memoria di un uomo eccellente come Franco Scaglia, proprio nel giorno della sua scomparsa. Devo ricordare, infatti, che il Teatro di Roma durante la nostra amministrazione è stato gestito proprio da Franco Scaglia come presidente, affiancato da un artista importante come Gabriele Lavia nella qualità di direttore artistico”. Una gaffe così pesante, quella di Marino, da avere indotto l’assessore alla cultura di Roma Giovanna Marinelli a diramare una nota in cui smentisce il sindaco: “Sotto la guida di Scaglia in particolare il Teatro di Roma è cresciuto e si è consolidato divenendo punto di riferimento per il panorama culturale della città”. Si mettano d’accordo in Comune. Forse dovrebbero stare più zitti salvo rispondere alle domande. Però ai giornalisti non è stato dato il permesso di farle.
Questo renzismo dei piccoli epigoni che spopola nel paese, per il quale il capo-baracca di turno si sente autorizzato a mettere a tacere gli eventuali scocciatori che ne molestassero il trionfalismo (in Italia certi vizi ritornano sempre), s’era già visto un mese fa in occasione della presentazione della prossima stagione all’Eliseo. Il giornalista Franco Di Mare chiamato a fare il moderatore – quello che con pompieristico provincialismo descrisse l’Eliseo come “il nuovo Beaubourg italiano”, il che significa non avere idea di cosa sia il Beaubourg – dopo quasi due ore di concione di Luca Barbareschi, nuovo direttore del teatro, domandò in effetti se c’erano domande. Ma Barbareschi subito riprese la parola perché s’era dimenticato di aggiungere alcuni suoi ragionamenti. Al termine di un ulteriore torrente di parole, Di Mare riprese il microfono per chiudere subito la matinée dicendo che “questa è una conferenza stampa di tipo nuovo, senza domande”.
Il meccanismo è semplice: si indice la conferenza stampa a mezzogiorno, si va avanti con le chiacchiere per due ore – nel frattempo all’Argentina dopo un’ora e un quarto sindaco e assessore se ne sono andati (hanno impegni, che diamine) – e si saluta, tanto quelli che rischiavano di sentirsi fare domande rognose non ci sono più. E Calbi? Lui ha fatto il suo dovere, ha presentato un cartellone di 95 spettacoli suddivisi in 15 sezioni, 19 produzioni, 7 prime nazionali e 676 repliche. Domanda: qual è la linea editoriale e culturale del Teatro di Roma? Su questo Calbi è stato illuminante come una lampadina spenta nella notte: “Liberi pensieri in libere emozioni, è questo uno dei motti che ci ha guidato nella costruzione di una nuova stagione a progetti, ognuno con il proprio senso, la propria necessità, la propria ragione, la propria poesia”.

Marcantonio Lucidi,
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