“Indovina chi viene a cena?” di William Arthur Rose, regia di Guglielmo Ferro. Con Vittoria Belvedere e Cesare Bocci. Al Quirino di Roma
Bianchi e neri, scacco matto dell’amore
La primattrice sarebbe Vittoria Belvedere nella parte di Cristina Drayton, una bella donna bionda della classe media americana, una vera wasp. Epperò il monologo importante è affidato al terzo ruolo femminile, più precisamente la seconda donna, la signora Prentice, interpretata da Ira Noemi Fronten. Sono i disguidi che capitano quando si fanno gli adattamenti, in questo caso di Indovina chi viene a cena? di William Arthur Rose che vinse l’Oscar per la migliore sceneggiatura. La regia del film di planetario successo era di Stanley Kramer, protagonisti Katharine Hepburn (anch’essa premio Oscar), Spencer Tracy e Sidney Poitier.
La versione teatrale di Mario Scaletta, diretta al Quirino da Guglielmo Ferro, non facilita la vita neanche a Cesare Bocci che fa Matt Drayton, il marito di Cristina, perché, visto com’è montata la drammaturgia, l’attore deve ripetere in continuazione le stesse cose, cioè che questo matrimonio non s’ha da fare, che i due giovani andranno incontro a terribili difficoltà, nessuno li perdonerà d’essersi innamorati e sposati, per giunta anche i futuri figli soffriranno da matti. No, no e ancora no ripetuto quindici, venti volte al punto che allo spettatore, persino a colui che per uno strano caso della vita non avesse visto il film, mai spunterà il dubbio che Matt alla fine non dirà sì. Da come poi il personaggio arriva a cambiare avviso in un attimo, giusto il tempo del monologo della signora Prentice, è lecito pensare che Scaletta si sia affrettato a venire fuori dal problema piuttosto che a entrare in una soluzione.
La storia è nota dagli Appennini alle Ande, da Los Angeles a Pechino: nell’America che ha appena abolito la segregazione razziale, la giovane July, figlia dei Drayton, è perdutamente innamorata di John Prentice, un brillantissimo giovane medico nero che ha deciso di partire per l’Africa a dare una mano. Lei vuole a tutti i costi sposarlo contro ogni regola, convenzione, difficoltà, impedimento e proibizione. John però convolerà a nozze solo con l’approvazione dei genitori di July. Per cena arrivano i coniugi Prentice, genitori di John, e si scopre che la madre del dottore è favorevole alle nozze, così come la bionda wasp, mentre il padre, di mestiere postino, si oppone fermamente e fa fronte comune con Matt. Anche i neri vedono molto male un matrimonio misto. E la cameriera nera dei padroni bianchi, una di famiglia come Mami per Rossella O’Hara, arriva addirittura a minacciare John.
Il tema ovviamente è il razzismo ma anche l’alleanza delle donne, di mente se non proprio progressista almeno aperta ai tempi nuovi, contro due maschi reazionari e ottusi, anche se il bianco, fondatore di un giornale che si batte per i diritti civili, sarebbe ideologicamente un liberal antirazzista. La vicenda vale oggi come testimonianza storica, non certo perché i razzisti e i reazionari siano scomparsi dalla faccia della terra, ma perché oggi è lecito non aver certezza sul lieto fine di una storia d’amore fra due giovani di famiglia palestinese e israeliana. O fra un russo e un’ucraina, una pachistana e un italiano. Forte è il dubbio che gli uomini e le donne appena usciti dal segregazionismo americano fossero più moderni e tolleranti, democratici, liberali delle attuali masse di estremisti di destra e di sinistra, di razzisti, antisemiti, omofobi, wokisti, complottisti e degenerati vari del pensiero che occupano la politica, i mezzi di comunicazione, i social e in generale la società attuale.
Si tratta di considerazioni che si desumono dalla visione della commedia ma che non stanno dentro l’adattamento di Scaletta e la regia di Guglielmo Ferro. L’allestimento non va mai oltre se stesso, oltre gli anni Sessanta dell’originale di William Arthur Rose, pur avendo in nuce un discorso sull’oggi. Vittoria Belvedere restituisce un personaggio che poteva essere assai più sviluppato e che probabilmente l’attrice, da quanto fa vedere, sarebbe stata in grado di sostenere. Cesare Bocci recita tutto lo spettacolo allo stesso modo, non cambia toni, espressioni, atteggiamenti, ma d’altro canto potrebbe ribattere facilmente che non lui è monocorde ma è Matt a non evolvere, fermo come un masso sulla strada per la modernità, a parte nel finale dove si abbandona a un monologo pedagogico e moralistico. July, la parte per l’attrice giovane, è affidata a Elvira Cammarone, di mestiere immaturo. Il monologo che caratterizza la signora Prentice e cambia la direzione della commedia è interpretato da Ira Noemi Fronten con molta credibilità e lascia il segno. Thilina Pietro Feminò fa il signor Prentice, personaggio scritto in modo tale da dare poco spazio, poco gioco all’interprete. Federico Lima Roque nel ruolo di John non si fa ricordare né per picchi di bravura né per errori, adotta i criteri del buon professionismo e arriva tranquillamente al calar del sipario. Fatima Romina Ali è una caratterista giusta per la cameriera Tillie. In scena lo stesso Mario Scaletta che si è riservato il carattere di padre Ryan da spingere al livello di antagonista di Matt. Nel suo complesso, la regia di Ferro tende a trattare la commedia come se fosse una signora di una certa età della quale bisogna riconoscere la bonaria saggezza.
