“Pluto. O il dono della fine del mondo” di Anton Giulio Calenda e Valeria Chimenti, tratto da “Pluto” di Aristofane. Regia di Alessandro Di Murro, con gli attori del Gruppo della Creta. Al teatro Basilica di Roma

Pluto. O il dono della fine del mondo

La via nuova non corre sulla vecchia

I francesi non fecero la Rivoluzione perché stufi delle differenze nella fortuna, non erano così ingenui, ma perché non volevano più diseguaglianze di fronte alla legge e al fisco. Mettere in scena Pluto di Aristofane, che appunto si occupa della squilibrata distribuzione della ricchezza, potrebbe non raggiungere con precisione il bersaglio, ossia la critica all’attuale situazione della nostra società. Lo spettacolo è in scena al teatro Basilica di Roma in un adattamento, vien da dire un rifacimento, della commedia aristofanea intitolato Pluto. O il dono della fine del mondo, firmato da Anton Giulio Calenda e Valeria Chimenti, regia di Alessandro Di Murro che dirige gli attori del Gruppo della Creta. Qui si mostra, sulla falsariga dell’originale, che il dio della ricchezza Pluto è cieco e che il personaggio allegorico della Povertà non solo ci vede bene, ma è dotato di una capacità di ragionamento difficile da contrastare. Sostiene la signora dei pezzenti che se tutti fossero ricchi nessuno lavorerebbe e il mondo si fermerebbe. È lei, la Povertà, a fare avanzare la civiltà. Il bisogno sprona gli esseri umani a fare, faticare, travagliare e li distoglie dal pericolo mortale dell’ozio. Riporta il commediografo ateniese, sempre burlesco, che un sicofante si è rovinato perché non c’è più nessuno da denunciare e una vecchia signora si lamenta del fatto che il suo gigolò non ha più bisogno di guadagnare. Insomma, secondo Aristofane la società va avanti fin quando una minoranza di ricchi può mantenere nel bisogno una maggioranza di morti di fame e sfruttarla a dovere.
Epperò l’iniquità che determina l’incredibile differenza fra il patrimonio dei miliardari e le risorse disponibili al resto dell’umanità è un effetto. Due fattori in particolare sostengono l’attuale architettura della disuguaglianza: l’attacco al principio che campeggia in tutti i tribunali “la legge è uguale per tutti” e il sabotaggio del fondamento che regge il sistema fiscale, basato sulla progressività per la quale chi ha di meno versa di meno e chi ha di più versa di più. Si è tornati al 1788. Siccome Aristofane scriveva nell’Atene fra il V e il IV secolo a.C., in una civiltà progenitrice della nostra ma diversa come una madre dalla figlia, questo è uno di quei casi in cui un’opera si attaglia all’oggi solo apparentemente e perché gli uomini sono sempre uguali (fino a far cascare le braccia) nella loro brama di ricchezza. Ma il contesto è molto diverso. Pluto non possiede più forza di critica sociale ma vale come testimonianza d’un passato teatrale glorioso. Anche il fondamento del ragionamento assai reazionario della Povertà – la ricchezza per tutti porta all’ozio e di conseguenza alla rovina – oggi si scontra con il problema nuovo delle macchine e dell’intelligenza artificiale che sostituiscono l’uomo. I due autori e il regista hanno voluto verniciare di modernità il testo aristofaneo ma a volte le commedie sono come gli esseri umani: non basta a una vecchia signora calzare un paio di scarpe da ginnastica per correre come una ragazza di vent’anni. Nelle note allo spettacolo si legge: “Se Pluto incarna un comunismo ideale e Povertà il volto del capitalismo, il Gruppo della Creta nella sua riscrittura di questo capolavoro segue le orme di Aristofane e si distanzia da entrambe le ipotesi politiche. Con ironia e critica costruiamo uno spettacolo che esplora la crisi di tutte le ideologie, cercando una via nuova”. Vasto programma.
La regia ha costruito uno spettacolo sostenuto prevalentemente dall’energia dei giovani attori. In scena si muovono tanto e fanno molta manovra, sono solo in cinque ma paiono una truppa. Siccome nella riscrittura non c’è un conflitto, piuttosto una polemica, l’assenza di una crisi drammatica rende complicata la vita agli attori. I personaggi tali non sono, tanto meno maschere, caratteri o psicologie ma al massimo esercizi di vitalità. Solo Laura Pannia riesce a definire il suo ruolo, la Povertà, a trovare cioè il modo di dargli un senso, una direzione, il che significa fissarlo nella memoria dello spettatore oltre il tempo della rappresentazione. In scena con lei Matteo Baronchelli, lo stesso regista Alessandro Di Murro nella parte di Pluto, Alessio Esposito e Amedeo Monda.

Marcantonio Lucidi,
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