Con Roberto Herlitzka e Stefano Santospago “Il canto di Ulisse”, reading-concerto da “L’ultimo Natale di guerra” e “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Al teatro Off Off di Roma

Il canto di Ulisse

Nessuno li può giudicare

Il più bravo attore italiano, Roberto Herlitzka, assieme a un bravissimo attore italiano, Stefano Santospago, hanno offerto al pubblico del teatro Off Off di Roma, per una sola sera purtroppo, un reading intitolato Il canto di Ulisse, come l’undicesimo capitolo dell’opera di Primo Levi Se questo è un uomo.
Di una serata di tale levatura in teoria non ci sarebbe altro da dire, bastano i nomi dei due interpreti e dell’autore. Tuttavia contrariamente al famoso aforisma di Blaise Pascal, la ragione ha le sue ragioni che il cuore non conosce. Disposizione in scena (cura registica di Teresa Pedroni): Alessandro Di Carlo al clarinetto e Alberto Caponi al violino seduti a sinistra, Herlitzka al centro anche lui seduto con il leggio leggermente spostato di lato, a destra Stefano Santospago in piedi. Le luci, un po’ complicate da fare in questo teatro per via del soffitto basso, sono molto semplici e addirittura ridotte a un piazzato bianco su Herlitzka al momento in cui l’attore legge l’undicesimo capitolo che contiene i versi del ventiseiesimo canto dell’Inferno. È l’episodio in cui il deportato ad Auschwitz si sforza di tradurre in francese le terzine dantesche al suo compagno di prigionia Jean e chiude il capitolo e il canto nella fila per la zuppa: “Kraut und Rüben? – Kraut und Rüben –. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: – Choux et navets. – Kaposzta és répak. Infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso”.
La ragione del Male assoluto è senza ragione. Giudicare è già sancire, che propriamente vuol dire “rendere sacro”, “inviolabile”. Non si distribuiscono ragioni né giudizi in questa serata teatrale, neanche nelle inflessioni, nei toni. I due interpreti leggono pezzi scelti da Se questo è un uomo e da L’ultimo Natale di guerra, uscito postumo, come si dipinge un paesaggio. Come lo dipingeva Van Gogh, per lo stesso motivo, perché il campo di girasoli è lì, perché si manifesta. Ma Levi ritrae paesaggi umani di un dies nigro signanda lapillo, di un giorno della storia umana da segnare con la pietra nera, un incubo pieno di cose sconosciute, di feti cotti in mezzo ai sabba, recita un verso di Baudelaire. Mertens, il chimico, accetta il trasferimento ad Auschwitz, è una zona tranquilla, lontana dal fronte, e lui ne avrà vantaggi di carriera e politici. Al lavatoio, un ladro ruba la giacca di Primo Levi con il cioccolato e il latte in polvere nascosti dentro tasche segrete. Primo sottrae delle pipette di laboratorio e le baratta con della zuppa da dividere con il suo compagno di prigionia Alberto. Ma la zuppa è infetta, Primo prende la scarlattina e quando i nazisti abbandonano il campo, è ricoverato in ospedale e non può camminare. Alberto è immune e muore assieme ad altri ventimila nella marcia di evacuazione. Sono le piccole cause che salvano la vita.
Si alternano alla lettura i due interpreti dalle voci così diverse, le posture così dissimili, i gesti e le espressioni peculiari. Neanche loro sono giudicabili ma per tutt’altre ragioni: i giudizi sono delle porte sbarrate, Roberto Herlitzka e Stefano Santospago sono delle finestre aperte sull’arte.

Marcantonio Lucidi,
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