“Quel copione di Shakespeare & Co” di e con Vittorio Viviani. Al teatro Vascello

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La provincia di William

In fondo al programma sono riportate tre parole precise: rinascimento, risorgimento, divertimento. Succedono delle cose a Roma, una Roma nascosta, clandestina, sotterranea – intendendo seppellita sotto le rovine di una città bombardata da una politica stracciona e da un’amministrazione corrotta – che sono prova di resistenza.
Questa sera, giovedì 30 gennaio al teatro Vascello, Vittorio Viviani va in scena con l’ultimo di una serie di reading, da lui scritti e interpretati, accomunati sotto un titolo non molto intrigante, Quel copione di Shakespeare & Co, ma con un sottotitolo che spiega di più, Le novelle italiane che fecero l’Europa. L’idea è di risalire alle fonti usate da Shakespeare per i suoi drammi. Viviani però si è occupato in questo suo ciclo anche di altri elisabettiani, John Webster per esempio, che scrisse attorno al 1611 La duchessa di Amalfi, tragica vicenda narrata in precedenza da Matteo Bandello (novella XXVI, “Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa di Malfi e tutti dui sono ammazzati”). Dal Bandello, che scrisse duecento quattordici novelle, Shakespeare trasse materia per la sua gran tragedia Romeo e Giulietta. Il Teseida di Boccaccio, primo poema epico in volgare della letteratura italiana, offrì al bardo inglese il seme del magnifico Sogno di una notte di mezza estate. E molte altre sono le fonti italiane: Ser Giovanni Fiorentino, che fra Trecento e Quattrocento fu forse notaio e per altri giullare da Firenze attivo nella Napoli angioina con il nome d’arte di Malizia Barattone e infine scrittore del Pecorone, raccolta a imitazione del Decamerone di cinquanta novelle dalle quali Shakespeare estrasse Il mercante di Venezia; Gianfrancesco Straparola autore de  Le piacevoli notti (1550 – 53), settantacinque novelle inframmezzate da altrettanti enigmi in ottava rima in cui si trova del Falstaff e delle allegre comari di Windsor; Giovan Battista Giraldi Cinthio che con due delle centotredici novelle delle sue Ecatommithi (1565) dette le trame dell’Otello e di Misura per misura.
Non si richiede nessuna erudizione per seguire il reading. Tutto è molto semplice e cristallino. Servitore dei suoi spettatori, Viviani, notoriamente attore e performer abile e sottile, si rivela egli stesso novelliere che sa raccontare le curve serpentine delle vicende umane, esistenziali e culturali, aprire le circostanze, entrare in corrispondenze, uscire dai labirinti, acchiappare coincidenze, deviare sulle digressioni, ballare sulle concordanze, aprire combinazioni. I suoi racconti, anzi le sue novelle teatrali, che meriterebbero peraltro pubblicazione editoriale, rappresentano una forma di lotta politica, una linea di trincea, contro il laido citofonismo analfabeta dei selvaggi da spiaggia, degli appartenenti alla tribù dei mojitani. Non è cultura in ritirata schizzinosa sull’Aventino, fuga in un iperuranio libresco per scampare le radiazioni nucleari degli uranici impoveriti. Si tratta di un’immersione nel piacere accompagnata dalla consapevolezza al contempo malinconica e beffarda che molti non berranno di quest’acqua e non sapranno cosa si perdono. Perché narrare che Shakespeare rubò al Bandello “la sfortunata morte di dui infelicissimi amanti che l’uno di veleno e l’altro di dolore morirono, con varii accidenti”, seconda parte novella IX, è un’operazione erotica.

Marcantonio Lucidi,
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