Ispirato a Raymond Carver, “Cose così” di Paola Ponti, regia di Danilo Nigrelli. Al teatro Eliseo di Roma

Cose così

Un istante di nulla nel niente eterno

Per Raymond Carver la prosa è architettura, deve reggersi in equilibrio, ben eretta da capo a piè. Ma si può anche sostenere che nel suo caso è scultura, il vero lavoro è togliere il marmo in eccesso. Carver non ha mai accettato di essere definito uno scrittore minimalista e difatti non ha nessuna responsabilità nel minuscolismo dei suoi epigoni. Che questo grande scultore di racconti brevi sia altro dalla dicitura dell’etichetta minimalista si vede chiaramente in uno spettacolo in scena al teatro Eliseo con la regia di Danilo Nigrelli, Cose così, scritto da Paola Ponti che a Carver si è ispirata.
Il tema è solo in apparenza la vita quotidiana delle tre coppie tipicamente carveriane qui messe in scena, con la loro modestia di piccole genti dell’infinita provincia americana e la tristezza dei bicchieri di whisky bevuti nella contentezza obbligatoria d’una serata tra amici. Il tema sta nell’impossibilità di lasciare una traccia di sé in questo mondo, d’essere vita come bava di lumaca che presto svapora nel nulla indifferenziato. Come se tutta questa fatica che ognuno di noi fa, come se tutta questa densità del nostro essere, questo arco teso delle nostre esistenze non avesse freccia. Ogni cosa è sospesa nello spettacolo, cose così che avvengono e non provengono, non stanno dentro una storia, non hanno uno svolgimento. Malinconiche come un lampione di strada rimasto acceso a giorno ormai fatto.
Lo spettacolo è in scena nel foyer di seconda balconata del teatro Eliseo di Roma, una stanza con le sedie degli spettatori disposte lungo i muri, un luogo dalla natura neutra, di passaggio o di breve stazionamento come sono le vite degli uomini. Un letto, un divano, un tavolino da bar alto con quelle sedie lunghe che sembra di stare in bilico, sospesi appunto a mezz’aria. Come coppie di pappagallini sono i mariti e le mogli, litigano su cose gravi e chiacchierano su cose leggere ma tutte ugualmente inutili. Passano delle storie ma sono lampi brevi di neon fulminati. Un lui ha trovato una donna morta mentre andava a pescare ma non si è fermato, forse non era ancora morta, forse si poteva salvare, forse l’uomo c’entra qualcosa, forse, forse, forse. I personaggi hanno dei nomi, ma che importanza ha? Una lei ha un vecchio amico cieco, non lo vede da tanti anni, adesso viene a trovarli, forse qualcosa è successo in passato. Forse. Le tre coppie si intersecano, si conoscono, la più giovane ha un neonato, la madre potrebbe avere una depressione, nella sua testa qualcosa non va. Non esistono risposte, neanche il dubbio è una certezza. Una moglie ha tradito suo marito, s’appoggia al muro della stanza e il suo monologo, così ben interpretato da Carmen Giardina, non è una confessione, né uno sfogo e neanche una dichiarazione di godimento, piuttosto la constatazione d’una piccola gioia irrilevante trovata lì per lì, sulla strada d’una vita qualunque. Paola Ponti è drammaturga sottile, prende Carver per restituire Carver, non sottolinea i personaggi, non costruisce psicologie, ma esistenze vaganti su una frontiera molto vicina a noi, una periferia dell’essere dove gli umani si muovono un attimo prima, un lungo attimo prima di divenire spettri che non significano niente.
Quindi i fatti non hanno nessuna importanza in questo spettacolo. Nigrelli socchiude e richiude momenti, atmosfere sceniche che sono aure d’anime, diffonde la nebbia delle coppie, la loro bassissima radioattività vitale di gente che va al lavoro, lo cerca, litiga, forse ama pure. Molto bravo il regista, anche in sede tecnica di messinscena oltre che di direzione degli attori: muove lo spettacolo in un ambiente teatralmente difficile epperò se ne avvantaggia estraendo forma teatrale dallo spazio scenico di cui dispone. Decisivo l’apporto delle luci di Danilo Facco, complicate da fare e risolte in piena coerenza poetica e stilistica con i modi della regia e degli interpreti. Non si sente lo sforzo di allestire, non si vedono le difficoltà della macchina teatrale, lo spettacolo è levigato, pulito, omogeneo. Solo appena un po’ lungo per lo spazio in cui si manifesta. Lo spazio condiziona il tempo e la percezione che se ne ha.
Senza attori di tal mestiere però, poche Cose così sarebbero state possibili e solo in alcuni momenti essi cadono nel pericolo di mancare la modulazione della voce adatta a un simile ambiente ristretto, andando di testa piuttosto che di diaframma. L’unica ad apparire fragile interpretativamente è Arianna Cremona che fa un personaggio delicato: la madre giovane, dal moto interiore che la drammaturga ha voluto sfuggente e labile, figura il cui filo difficile da cogliere chiederebbe maggiore abilità interpretativa. Ma tutti i ruoli qui sono complessi, sono fumo di sigaretta accesa e ben presto spenta, anime da concretizzare in scena senza dare loro pesantezza, ma tenendole a mezz’aria, sospese eppur vive, carne di fantasmi, come sanno fare Mario Russo, Carmen Giardina, Stefano Quatrosi, Elodie Treccani, Amandio Pinheiro e lo stesso Danilo Nigrelli.

Marcantonio Lucidi,
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