“La scortecata” da Giambattista Basile, testo e regia di Emma Dante, con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Al teatro India di Roma

04/07/2017 60 Festival dei 2 Mondi di Spoleto. Teatro Caio Melisso, spettacolo La Scorticata testo e regia di Emma Dante. Nella foto Salvatore D'Onofrio e Carmine Maringola

 

Verrà la vecchiaia e avrà la tua pelle

“Il re di Roccaforte s’invaghisce, al suono del parlare, di una vecchia non veduta, e, ingannato dalla mostra di un dito delicato, la riceve nel suo letto; ma, scoperto poi l’inganno, la fa gittare da una finestra. Restando colei sospesa a un albero, è fatata da sette fate, diventa una bellissima giovane e il re se la prende per moglie. La sorella della vecchia, invidiosa della fortuna di lei, per farsi anch’essa bella, si fa scorticare e muore”. Questo è il riassunto della storia, nella traduzione di Benedetto Croce dal napoletano secentesco, che si trova in testa a La vecchia scortecata, decimo intrattenimento della prima giornata de Lo cunto de li cunti, il capolavoro di Giambattista Basile (1566 – 1632). Emma Dante ne ha offerto con La scortecata al teatro India di Roma un suo libero adattamento con regia propria nel quale cambia un po’ di cose, soprattutto il finale, e mette tutto in dialogo per i suoi due ottimi attori, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola.
Di primo acchito, lascia perplessi la soluzione di affidare a due attori en travesti il ruolo delle “doi vecchiarelle, ch’erano lo reassunto de le desgrazie, lo protacuollo de li scurce (mostruosità, ndr), lo libro maggiore de la bruttezza”. Poi però, e anche piuttosto rapidamente, si capiscono le ragioni della scelta, in perfetta coerenza con lo stile della messinscena. Lontanissima da ogni sospetto di naturalismo, Emma Dante raggiunge con i suoi interpreti l’effetto di impedire una riconoscibilità dei personaggi e li rende maschere. Maschere di una follia, d’una speranza di eterna bellezza, di intramontabile avvenenza, che tutti i sessi dell’umanità, maschi o femmine eterosessuali ed lgbt perseguono nelle sale operatorie dei chirurghi plastici, nelle palestre, nei centri estetici, fino al ridicolo, fino al grottesco delle settantenni rifatte, degli ottuagenari con la tartaruga, delle diciottenni sfigurate da artificiali bocche boccaccesche, dei trentenni con i muscoli pompati da farmaci eviranti.
Le vecchie di Basile e della Dante vivono rintanate in un basso ma il re, che mai le ha viste, crede d’avere a che fare con una meravigliosa fanciulla, che è un po’ come si va per strada oggidì e pare d’intravvedere di schiena una slanciata silhouette di donna conturbante, quindi s’affretta il passo per gettar l’occhio in tralice sul davanti e non Lauren Bacall passeggia ma la strega Nocciola. Senonché il re ottiene la promessa d’ammirare fra otto giorni un dito dell’ottavo miracolo de lo munno, la favolosa femmina dabbasso, e per otto giorni le due “arruffate e setolose, le palpebre grosse e pendenti, gli occhi vizzi e scerpellati, la faccia gialliccia e grinzosa, la bocca allargata e storta, e, insomma, la barba di capra, il petto peloso, le spalle con la contropancetta, le braccia attrappite, le gambe sciancate e fiaccate, e i piedi a uncino” – traduce il Croce – altro non fanno che succhiarsi il mignolo, avendo pattuito che giunto il giorno stabilito quella di loro col dito più liscio, lo avrebbe mostrato al re dal buco della serratura. E questo continuo ciucciare il dito è il gesto fondamentale dei due attori, ripulire il corpo dalla decrepitezza, stirare le grinze del tempo, irrorare la secchezza della pelle.
Stanno D’Onofrio e Maringola in tempi e gesti comici precisissimi, vestiti di certe sottovesti da femmina sgarrupata con le giarrettiere pendule in mezzo alle cosce, vecchiacce sciamannate e goduriose eppure sotto sotto anelanti ad amore di cuore e non solo di sesso, perché nemmanco nell’estrema senescenza il fantasma del principe azzurro svapora. Finirà nel peggior dei modi, con un coltello a scorticare pelle centenaria nella speranza di tirare fuori un’epidermide giovinetta profumata di vita e d’avvenire. E finirà invece assai bene lo spettacolo, teso allo stremo da due interpreti posti dalla regia sul filo della lama che divide lo squallore dal sogno e il grottesco dalla poesia. Bravi, molto bravi D’Onofrio e Maringola, en travesti ma mai effeminati, acciabattati senza sciatteria, seminudi ma non inverecondi, interpreti d’uno spettacolo in cui tutto è necessario a un progetto poetico coerentemente realizzato.

Marcantonio Lucidi,
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