“Delitto/Castigo” dal romanzo di Fedor Dostoevskij, adattamento e regia di Sergio Rubini anche interprete assieme a Luigi Lo Cascio. Al teatro Ambra Jovinelli di Roma

Delitto Castigo

Una pena senza neanche un crimine

L’impotentia teatrandi è quella malattia artistica che impedisce l’azione scenica e induce i sofferenti a sostituirla con la chiacchiera. Si palesa più frequentemente quando si intende allestire uno spettacolo da un romanzo, per esempio Delitto e castigo di Dostoevskij. Adattato e diretto all’Ambra Jovinelli di Roma da Sergio Rubini anche interprete assieme a Luigi Lo Cascio, l’allestimento è una specie di lettura agita dei due protagonisti di fronte al leggio o in movimento sulla scena con i fogli in mano. Ora ci si chiede come mai due attori professionisti non hanno imparato tutta la parte a memoria, trattandosi di una rappresentazione della durata d’un paio d’ore – un tempo sormontabile anche da un liceale impegnato nella recita di classe – seppure a volte pochi minuti della rappresentazione sembravano lunghi quanto i sette giorni della creazione del mondo.
Da questa scelta di avvalersi largamente della protesi cartacea – per amor di verità va detto che Rubini leggeva meno del compagno di scena e qualche tirata a memoria la offriva – ne conseguivano alcuni momenti ridicolosi, come avrebbe detto Goldoni: fogli sbatacchiati a mezz’aria nei momenti di maggior pathos (pathos in questo caso è parola generosa) o riacchiappati destramente in uno struggente momento di Raskòl’nikov / Lo Cascio che, seduto, alza le braccia al cielo ma il copione fa per scivolargli dalle gambe epperò la potente mano dell’attore s’abbatte con decisione sulla sua coscia a bloccare i malandrini fogli. Inconvenienti da teatro del sottosuolo, tanto per parafrasare Dostoevskij.
Poi c’è la questione delle luci: la scena è sempre buia come una piacevole notte in macchina sulla panoramica di Porto Santo Stefano con la bionda acchiappata in spiaggia. Quella poca luce che c’è o gli attori non la prendono o il solito fantasma burlone (ogni tanto nei teatri se ne aggira uno) s’è divertito a cambiare i puntamenti. Comunque in scena appaiono ogni tanto altri due attori (Francesco Bonomo e Francesca Pasquini), probabilmente a supporto dei protagonisti, che vagano un po’ di qua e un po’ di là. Sono personaggi in cerca di regia.
L’adattamento di Rubini è interessante per come riesce a ridurre l’immenso romanzo di Dostoevskij a una detective fiction da ufficio di questura. D’altronde qualsiasi opera letteraria, teatrale o cinematografica può essere concentrata in una trametta: l’Odissea è la storia di un tizio che vuole tornare a casa e gira in barca a vela per il Mediterraneo incontrando gente varia. L’attore interpreta un po’ di personaggi dell’originale perché, insomma, si tratta pur sempre di Delitto e castigo, e alcuni li fa anche abbastanza bene, in particolare Alëna Ivànovna, la vecchia usuraia che verrà uccisa da Raskòl’nikov, e il giudice istruttore Porfirij Petrovič. Poi però ci si accorge che li fa tutti più o meno allo stesso modo. Sono sempre variazioni di un’unica maschera, quella che Rubini ha messo fin dagli inizi della sua carriera del tipo un po’ maldestro, un po’ timido, un po’ ritroso, un po’ schivo, un po’ impacciato e insomma si veda il dizionario dei sinonimi e contrari alla voce “introverso”. Diverso Lo Cascio nel ruolo dell’assassino: è un tipo di interprete che “sporca” la battuta perché evidentemente ritiene che così viene meglio, che è più suggestiva, quindi la bisbiglia e la fa cascare sulle sue scarpe. Malgrado sia potentemente microfonato – perché in fondo alla sala una voce in un modo o nell’altro deve arrivare – di quel che pronuncia s’intende poco. Ma non ha importanza, tanto tutti sono al corrente della vicenda di Raskòl’nikov, ne conoscono i tormenti, i guai, i problemi economici, le angosce, i rimorsi, i pentimenti, la desolazione emotiva, la visione del mondo, il nichilismo, il superomismo. Quindi l’adattamento non sente il bisogno di valorizzarli ed iscriverli nella propria poetica.
Infine ci sono i temi del romanzo: la carità, la vita familiare, l’ateismo, l’attività rivoluzionaria, la critica alla società russa ottocentesca, l’idealismo umanitario, la ribellione alla morale convenzionale, lo spirito di sacrificio, la purezza di cuore e quant’altro si può trovare in un’opera gigantesca come Delitto e castigo. Se tutto ciò ci fosse, si tratterebbe di un altro spettacolo, non di un castigo senza neanche un bel delitto.

Marcantonio Lucidi,
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