“Le marocchinate”, monologo di Simone Cristicchi e Ariele Vincenti anche interprete. Regia di Nicola Pistoia. Al teatro Lo Spazio di Roma

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Un crimine contro la dea

Simone Cristicchi e Ariele Vincenti (anche attore monologante) hanno scritto un testo su un  fatto storico più o meno noto e più o meno ignorato: Le marocchinate, come sono state chiamate le donne che nel ’44 in Ciociaria (e anche altrove), dopo lo sfondamento della linea Gustav da parte degli alleati, furono stuprate dai “goumiers” marocchini, soldati di fanteria leggera dell’Armata d’Africa francese. Per il valore dimostrato in battaglia, i marocchini ottennero, probabilmente dal generale Alphonse Juin, il diritto di preda sulla popolazione, cinquanta ore in cui razziarono, uccisero a volontà e violentarono migliaia di donne. Questo è un episodio ignobile che i francesi hanno sempre cercato di tenere nascosto o comunque di ridimensionare. Alcuni storici d’Oltralpe hanno accusato i tedeschi di avere orchestrato una montatura per addossare agli Alleati parte dei loro stessi crimini; hanno sostenuto che le donne raccontavano balle per ottenere dal governo italiano le 15 mila lire riconosciute per ogni denuncia; che Roma intendeva far passare i nuovi conquistatori per dei diavoli in modo da cancellare almeno parzialmente l’umiliazione della nazione; che comunque le cifre erano artatamente gonfiate, eccetera.
Cristicchi e Vincenti non entrano in queste polemiche politiche, diplomatiche e storiografiche, semplicemente raccontano, attraverso uno spettacolo quasi dolce malgrado le efferatezze ricordate. Il regista Nicola Pistoia è molto attento su questo punto e sa che sarebbe facilissimo cadere in nome dell’indignazione contro la violenza nella trappola di una violenza recitativa. Invece indirizza l’attore verso una prova piana, quasi quieta, perché raccontare un inferno con pacatezza rende quell’inferno ancora più duro.
Vincenti è un giovane attore interessante, ha una capacità di generare quello che Stanislavskij chiamerebbe “intimo vero”, gestisce il proprio corpo e la voce in modo fluido, scorrevole. Non sottovaluta le difficoltà tecniche del monologo, che resta una delle prove d’attore più delicate e difficili, ed è cosciente che non basta andare in scena a dirlo più o meno correttamente per ottenere un buon risultato. Insieme alla regia, ha operato una ricerca su un personaggio che potrebbe diventare stucchevole alla lunga e che invece si rivela tondo, pieno, anche perché lo spettacolo finisce esattamente al momento giusto. E questo probabilmente è merito di Pistoia che ha sempre avuto senso dei tempi che uno spettacolo può reggere.
Il narratore è Angelino, un pastore ciociaro che racconta di come la vita rurale dei suoi luoghi venga sconvolta dall’arrivo dei soldati marocchini. E tra le “marocchinate” c’è sua moglie Silvina. Profanazione dei corpi femminili, perché violarli è un crimine non solo contro la persona ma una bestemmia rivolta alla dèa; squartamento di vite, di famiglie, di anime; tradimento dei “liberatori”; oltraggio, vergogna, disonore. Si racconta con semplicità un abominio contro la donna. Un uomo deve piangere quando viene in qualsiasi modo infamata la donna, la più divina e amabile creazione dell’universo.

Marcantonio Lucidi,
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